Fare-squadra è essenziale nella logica dello sport. Anche della vita di tutti i giorni. “È vero: nessuno si salva da solo. E come credente posso attestare che la fede non è un monologo, bensì un dialogo, una conversazione. (…) Verrebbe da dire, usando una metafora sportiva, che ci potremmo salvare solamente come squadra”. A parlare è Papa Francesco, in una intervista concessa a La Gazzetta dello Sport, firmata da Pier Bergonzi (con l’aiuto di don Marco Pozza). Il Papa, da sempre vicino agli atleti e ai temi dello sport, ha risposto ad una trentina di domande, approfondendo in particolare le prime sette, che ruotano attorno ad altrettante parole chiave. “Lo sport ha questo di bello: che tutto funziona avendo una squadra come cabina di regia – osserva Papa Francesco -. Gli sport di squadra assomigliano ad un’orchestra: ciascuno dà il meglio di sé per quanto gli compete sotto la sapiente direzione del maestro d’orchestra. O si gioca insieme, oppure si rischia di schiantare. E’ così che piccoli gruppi, capaci però di restare uniti, riescono a battere squadroni incapaci di collaborare assieme. C’è un proverbio d’Africa che dice che se una squadra di formiche si mette d’accordo è capace di spostare un elefante. Non funziona solamente nello sport questo”. Lo sport, conferma il Papa, è anche riscatto: “Sì, infatti non basta sognare il successo, occorre svegliarsi e lavorare sodo. È per questo che lo sport è pieno di gente che, col sudore della fronte, ha battuto chi era nato con il talento in tasca. I poveri hanno sete di riscatto: offri loro un libro, un paio di scarpette, una palla e si mostrano capaci di gesta impensabili. La fame, quella vera, è la motivazione più formidabile per il cuore: è mostrare al mondo di valere, è cogliere l’unica occasione che ti danno e giocartela. Questa è gente che non vuole farsi raccontare la vita, vuole vederla con i suoi occhi. Ha fame, tanta fame di riscatto. Per questo certe vittorie portano a commuoversi”.