Carlo Alberto Dalla Chiesa “era consapevole che per sconfiggere la mafia occorresse molto di più che la chiamata a raccolta dei corpi armati dello Stato, e che non bastasse solo il coordinato dispiegamento della forza repressiva. Era necessario, invece, uno sforzo più ampio e ambizioso, capace di scuotere le comunità meridionali, afflitte dalla presenza oppressiva delle mafie, da quella sorta d’indifferenza e di triste rassegnazione a cui sembravano piegate”. Lo ha affermato questa mattina il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, nel corso della cerimonia commemorativa in occasione del 38° anniversario dell’uccisione del gen. Carlo Alberto Dalla Chiesa, in un agguato mafioso per il quale persero la vita anche la moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente della scorta Domenico Russo.
La titolare del Viminale ne ha ricordato “il coraggio, il rigore morale, la perseveranza nell’operare per il bene comune”, “qualità che apprezzammo nell’uomo dello Stato” ma che “sono anche il lascito a cui ancora attingiamo per guardare al futuro con più fiducia, e senza recedere, anche di fronte all’asprezza di terribili prove”. “Essere saldi e operosi, perseguire gli obiettivi con serietà e applicazione, con sano pragmatismo ed equilibrio, mai, però, abbandonando il sogno e il progetto di un’Italia migliore, coltivato senza sciovinismi, ma con fidente amor di patria. Questo – ha osservato il ministro – lui ci insegnò nella sua vita, con i fatti, senza ergersi a maestro. E questo è ciò che rimane a noi, oltre la sua vita”. “Essergliene grati è un dovere che sentiamo, e che oggi sinceramente rinnoviamo. Esserne all’altezza è l’impegno che ci attende”, ha sottolineato Lamorgese che ha voluto richiamare “le dichiarazioni rese alla Commissione Parlamentare antimafia quando era ancora comandante della legione di Palermo”. Dalla Chiesa “descrisse una mafia nuova e diversa rispetto a quella che aveva conosciuto e visto all’opera negli anni giovanili”, inviato a Corleone tra il 1949 e il 1950: una mafia che cercava già di acquisire “una dimensione internazionale”, approfittando anche dei progressi delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. “Dalla Chiesa – ha rimarcato il ministro – sapeva bene che questa rivolta contro le mafie esigeva una grande tensione etica, lo slancio verso la costruzione di una società più equa, più rispettosa del cittadino, più attenta alle sue necessità in ogni campo, specie in quello dei diritti fondamentali. Egli capiva, insomma, che una comunità in cui si rimanesse sudditi, e non veri cittadini, non avrebbe mai potuto realmente affrancarsi dal giogo delle mafie”.