In Italia, a un quinto dei dipendenti viene richiesta dal datore di lavoro per esigenze produttive una modifica dell’orario lavorativo almeno una volta a settimana, a un ulteriore 22,6% almeno una volta al mese. Tali richieste sono più frequentemente rivolte agli occupati laureati, di sesso maschile o con cittadinanza italiana (agli stranieri, alle donne e alle persone con bassa istruzione molto più raramente viene chiesto di modificare il proprio orario di lavoro). È quanto emerge dall’indagine “L’organizzazione del lavoro in Italia: orari, luoghi, grado di autonomia” relativa all’anno 2019 diffusa oggi da Istat ed Eurostat.
“Il rapporto di scambio tra flessibilità goduta e flessibilità richiesta – viene spiegato – non sempre risulta vantaggioso o equo. A quasi la metà degli occupati che non possono decidere il proprio orario di lavoro (circa 7 milioni su oltre 16 milioni) viene richiesto di modificarlo per esigenze del datore, del cliente o dell’attività lavorativa; il rapporto tra flessibilità goduta e flessibilità richiesta risulta più bilanciato per i restanti 9 milioni”.
Stando ai dati diffusi, il 45,0% di coloro che hanno piena autonomia di orario si trova nella condizione di dover modificare almeno una volta a settimana il proprio lavoro a motivo di esigenze lavorative, il 18,7% almeno una volta al mese mentre solo il 36,3% non riscontra mai o quasi mai questa esigenza.