In Italia, l’81,7% degli occupati lavora principalmente in locali o uffici messi a disposizione dal datore di lavoro o, nel caso dei lavoratori autonomi, di proprietà. Tale condizione più spesso caratterizza le lavoratrici (90,4%), i laureati (88,8%) e i più giovani (83,4%). È quanto emerge dall’indagine “L’organizzazione del lavoro in Italia: orari, luoghi, grado di autonomia” relativa all’anno 2019 diffusa oggi da Istat ed Eurostat.
Stando ai dati diffusi, lavora principalmente da casa lo 0,8% degli occupati (1,5% tra i laureati), il 9,7% svolge la propria attività lavorativa presso i clienti (15,9% tra gli stranieri e 13,5% tra chi ha al massimo la licenza media). I lavoratori stranieri e quelli poco istruiti sono anche coloro che più spesso degli altri non hanno un luogo fisso di lavoro (rispettivamente il 10,2 e l’11,4%, rispetto al 7,1% del totale degli occupati). Circa un quarto degli occupati (25,7%) ha almeno due luoghi in cui svolge il proprio lavoro, soprattutto tra gli uomini e i laureati (33,3 e 33,6%), mentre lavorare sempre nello stesso luogo caratterizza più spesso donne (84,7%), stranieri 83,8% e giovani (79,2% contro il 74,3% della media degli occupati).
Il lavoro da casa – che nel 2019 ha coinvolto circa 1,3 milioni di occupati, il 5,7% – è più diffuso nel settore dei servizi, anche se con forti differenze tra i comparti. Lo adottano più di frequente il settore dell’informazione e comunicazione assieme a quello dei servizi alle imprese; inoltre, nel settore istruzione, l’abitazione rappresenta molto spesso il luogo di lavoro secondario. Dei 408mila lavoratori dipendenti che, nel 2019, hanno utilizzato la propria abitazione come luogo principale o secondario di lavoro (1,7% degli occupati, il 2,3% dei lavoratori dipendenti), l’8,2% ha un contratto di telelavoro (lo 0,2% del totale dei dipendenti) e il 20,2% un accordo di smart working (0,5% del totale). Si tratta nel complesso di circa 116mila persone. In entrambi i casi gli istituti sono quasi esclusivamente riservati ai lavoratori a tempo indeterminato soprattutto del settore dei servizi (circa il 73%). Secondo una stima prodotta dall’Istat, sono 8,2 milioni gli occupati che svolgono una professione in qualche modo esercitabile da remoto, quota che scende a circa 7 milioni se si escludono le professioni per le quali il lavoro da remoto è ipotizzabile solo in situazioni di emergenza (ad esempio gli insegnanti nei cicli di istruzione primaria e secondaria). Nel corso del 2019 solo il 12,1% (circa un milione di occupati) ha concretamente sperimentato questa possibilità.