“Il gioco d’azzardo non è un gioco, è un virus molto contagioso da cui non è facile guarire”. Lo scrive don Luigi Ciotti, fondatore di Libera e del Gruppo Abele, sul numero di ottobre di Vita pastorale, anticipato al Sir. “Tutti questi aspetti etici, educativi e sociali (tipici del gioco, ndr) sono del tutto assenti nel gioco d’azzardo, che è per sua natura solitario, asociale, esclusivo, dunque potenzialmente patologico”, osserva don Ciotti.
Nelle sue parole, la consapevolezza che “chi si affida alla sorte per guadagnare denaro tramite denaro ha buone probabilità di sviluppare una dipendenza foriera di sofferenza e disperazione non solo per lui ma per chi gli è affettivamente legato: familiari e amici”. L’invito è quello di “dare a questa piaga sociale un nome appropriato, che dichiari senza ipocrisie cosa rischia di perdere chi si dedica all’azzardo: la libertà, la dignità, a volte la vita”. Da don Ciotti parole di condanna nei confronti di una “deregolamentazione iniziata alla fine del secolo scorso con l’evidente intento di alimentare le casse dello Stato”. “Quella del gioco d’azzardo è un’industria che, sfruttando la fragilità delle persone, fattura 100 miliardi l’anno, di cui 10 vanno allo Stato e il resto alle ditte concessionarie”. Segnalando “l’ombra di guadagni sporchi e il conseguente sviluppo di mercati illegali e criminali”, il fondatore di Libera evidenzia anche che “a oggi sono state condotte indagini da undici Procure antimafia e operazioni di polizia hanno interessato ben 22 città”.
Conclude don Ciotti: “È evidente che a fronte di tale scenario non sia sufficiente solo reprimere e vietare. Il contrasto del gioco d’azzardo richiede certo una ‘legge quadro’ che regolamenti senza ambiguità il fenomeno, ma chiede anche un forte investimento culturale ed educativo, perché la fame dell’azzardo cresce laddove mancano da un lato concrete e dignitose opportunità di benessere, dall’altro la voglia d’impegnarsi per costruirle, a beneficio proprio e di tutta la comunità”.