Un “Ufficio diocesano per la pastorale dell’emergenza”, per “captare la sofferenza”, che scaturisce da eventi drammatici come il terremoto, “comprenderla, riconoscerle un significato, integrarla in un progetto esistenziale, renderla una opportunità di crescita globale”. A istituirlo, ieri 28 settembre, il card. Giuseppe Petrocchi, arcivescovo metropolita di L’Aquila. L’Ufficio si propone in tal modo di sollecitare l’intera Chiesa aquilana a mobilitarsi per rispondere a quello che il cardinale chiama il “terremoto dell’anima”, attivando una “prossimità samaritana” dallo stile evangelico e “sistematizzando le convinzioni e le attitudini maturate nello sforzo di reagire positivamente alla sfida del sisma del 2009, per renderle un patrimonio da mettere a disposizione di altre comunità lacerate da fatti rovinosi”. Un obiettivo dell’Ufficio è “avviare e potenziare la collaborazione con la Cei e con suoi ‘dipartimenti’ interessati a trattare, con diversa titolarità, la ‘pastorale dell’emergenza’ a partire da Caritas Italiana”. In questa prospettiva “diventano centrali la buona intesa e la collaborazione fattiva con le strutture pubbliche e gli organismi sociali. Fondamentale, poi, che gli attori istituzionali (Chiesa, enti pubblici, Università, sanità e media…) trovino forme di raccordo e di intesa, che consentano di scambiare strategie capaci di favorire dinamiche sananti e processi migliorativi per la vita delle persone e delle popolazioni”. È infatti allertando “la dimensione religiosa, culturale, sociale e politica che si possono vincere le sfide che ogni calamità lancia, in modo imprevisto e disintegrante”.
Punto di partenza è la consapevolezza che “ogni calamità, che si abbatte su una comunità, presenta sempre due versanti: uno esterno, visibile e misurabile; l’altro interiore, perciò, meno percepibile ‘da fuori’ e non immediatamente valutabile. Il primo comprende i guasti materiali e strutturali provocati dalla sciagura, il secondo è connotato dai dissesti spirituali, psicologici e relazionali impressi nell’anima delle persone e delle comunità”. Le istituzioni civili, secondo l’arcivescovo di L’Aquila, “si dimostrano, in genere, attrezzate nel soccorrere le urgenze primarie della popolazione danneggiata da un evento avverso, ma non sempre appaiono adeguatamente dotate di ‘recettori’ idonei a captare e assistere le problematiche etiche, emotive e interpersonali che determinano un malessere profondo e provocano comportamenti ‘disturbati’, segnati anche da patologie di vario genere e di progressiva densità”. Il “terremoto dell’anima è un sisma sommerso” che può, quindi, “amplificare criticità già esistenti nella persona o nella comunità, oppure può determinare nuove faglie di problematicità”. Per questo motivo “l’aiuto offerto nella sfera corporea e nell’ambito organizzativo è necessario ma non sufficiente per attivare iniziative che rispondano integralmente ai bisogni e alle attese della gente. Occorre affiancare questi interventi con una ‘prossimità samaritana’, sistematica e permanente, capace di condividere e offrire aiuto con stile evangelico e mobilitando l’attenzione sui valori umani, autentici ed universali”. E questa, sottolinea l’arcivescovo è “un’impresa da condurre al plurale: si fa in comunione e genera comunione”. Il nuovo Ufficio sarà costituito da un direttore che condividerà la responsabilità con altre due figure: una religiosa e un frate minore. È la prima volta che nella diocesi di L’Aquila si sperimenta una direzione condivisa di un Ufficio pastorale.