Cent’anni fa, il 4 ottobre, nasceva a Glasgow, in Scozia, l’Apostolato del mare “per rivelare Cristo a quelli che navigano a bordo delle navi e che lavorano in acque profonde”. “L’assistenza nei porti e sulle navi risale alle origini della nostra congregazione”, ricorda padre Leonir Chiarello, superiore generale della Congregazione Scalabriniana, nel suo messaggio per il centenario dell’Apostolato del mare. Il beato Scalabrini rispose al problema assegnando missionari per l’assistenza ai migranti nei porti e per accompagnarli nella traversata. Inoltre, egli istituì la Società San Raffaele, che operò in quel settore fino al 1923. E “Scalabrini fu lui stesso ‘cappellano di bordo’ durante le due traversate dell’oceano, prima verso gli Stati Uniti (1901) e poi verso il Brasile (1904)”, aggiunge padre Chiarello.
Moltissimi i migranti che lavorano ancora oggi sulle navi: i marittimi nel mondo sono circa 1,6 milioni e lavorano a bordo di circa 70.000 navi. La gran parte sono adibite per uso commerciale: il 90% di quello che compriamo arriva via mare, ricorda una nota degli Scalabriani. “La vita del marinaio è protetta da convenzioni internazionali – evidenzia padre Chiarello – ma il rispetto delle norme lascia spesso a desiderare, in particolare per i marinai dequalificati e per i pescatori. E in questi mesi, sul mondo dei marittimi si è abbattuta, come su tutti, la pandemia, creando grosse problematiche”.
I missionari scalabriniani che lavorano nell’Apostolato del mare operano attualmente in luoghi come Buenos Aires o Montevideo, Santos e Rio de Janeiro, Ravenna e Cape Town, Manila o Kaohsiung e Tokyo. “Dai rapporti annuali dei vari centri – conclude padre Chiarello – emerge chiaramente come la sfida per la Chiesa è più che mai aperta e si evidenzia che sono oltre 300.000 le persone, tra marittimi e personale marittimo, bloccate in mare, senza poter scendere a terra; accanto a loro vi sono quelle che sono bloccate a terra con regolare contratto di lavoro, ma che per le restrizioni agli spostamenti non possono imbarcarsi; infine, vi sono molti marittimi che rimangono in un limbo, ospiti di strutture di accoglienza, senza poter dar seguito alle pratiche per la loro assunzione o poter tornare in famiglia”.