Lo scorso 24 settembre, nell’ambito della Settimana mondiale del clima, si è tenuta la grande carovana virtuale “Creazione amazzonica contro la crisi climatica”. Nel corso di questa iniziativa, la teologa e antropologa Moema Miranda ha lanciato un appello urgente per fermare l’ingresso delle compagnie minerarie nei territori amazzonici. “Da tutte le aree in cui avanza l’attività mineraria in Amazzonia, ha affermato, la notizia che arriva è terribile: devastazione della terra, distruzione delle relazioni sociali, mancanza di rispetto dei diritti umani, inquinamento”. Lo riferisce in un comunicato la rete continentale Iglesias y Minería.
Per la teologa, membro della Repam e di Iglesias y Minería, quando Papa Francesco ha lanciato il Sinodo per l’Amazzonia a Puerto Maldonado, già aveva riconosciuto che l’Amazzonia era in situazione di forte disputa e che i popoli indigeni non erano mai stati minacciati come ora”. Ma, con la pandemia Covid-19, questa situazione è diventata più grave: “I governi hanno colto l’opportunità per distruggere ulteriormente la fragile legislazione sulla protezione ambientale. Per questo, nell’Assemblea mondiale dell’Amazzonia, i membri della rete Iglesias y Minería si uniscono alle popolazioni indigene, alle comunità afro e contadine per dire no all’estrazione mineraria e lottare per zone libere dall’estrattivismo minerario”.
Denuncia la Rete continentale: “Migliaia di abitanti oggi subiscono contaminazione e morte di aree agricole, animali, distruzione di foreste, espulsione dai propri territori e danni irreparabili come quelli subiti recentemente in Brasile, Colombia, Perù, Messico, Cile, Honduras, Guatemala e nei fiumi del bacino amazzonico. Il mega estrattivismo, presentato come una soluzione a un sottosviluppo poco compreso, ha devastato i suoli, impoverito e inquinato le acque e ha sacrificato intere popolazioni sotto lo slogan della crescita e dello sviluppo”.