Il tribunale pakistano di primo livello di Karachi Est il 21 settembre scorso ha emesso un mandato di arresto, nella forma prevista per gli accusati privi del diritto alla libertà provvisoria dietro cauzione, nei confronti di Abdul Jabbar e complici. Sono accusati di avere rapito, violentato, costretta a sposare uno dei sequestratori e ad abbandonare la propria fede, Huma Younus, quindicenne cattolica. La minorenne è rimasta incinta a causa dello stupro ed è attualmente prigioniera fra le mura di una camera. A dare la notizia ad Acs è Tabassum Yousaf, il legale dell’Alta Corte del Sindh, la provincia pakistana con capoluogo Karachi, impegnata nella difesa dei genitori dell’adolescente. “Si tratta di un grande passo avanti verso la liberazione della minorenne cristiana”, ha spiegato alla Fondazione pontificia l’avvocato che tuttavia non minimizza le difficoltà. “All’epoca del rapimento era quattordicenne, il mese prossimo sarà trascorso un intero anno e nella mia qualità di avvocato dico che la giustizia ritardata è una giustizia negata”. Le ragioni del rinvio sono, rimarca Acs, particolarmente allarmanti. “Il nostro sistema giudiziario è riluttante ed esitante quando si tratta di assicurare la giustizia alle minoranze, come abbiamo visto nel caso di Huma”.
Secondo Yousaf il provvedimento del 21 settembre rappresenterà anche un test della qualità dell’operato delle forze di polizia. “Ora, dopo un anno, il mandato di arresto senza possibilità di libertà su cauzione ci permetterà di capire se la polizia fa o meno il proprio lavoro e se fornirà spiegazioni all’atto della consegna della relazione in tribunale”. L’avvocato ha poi descritto lo stato d’animo della famiglia della minorenne. La madre ha chiesto di riavere la figlia libera: “voglio che continui i suoi studi e che giunga all’età del matrimonio che sarà con un ragazzo cristiano e non con un musulmano. Non accetterò mai Abdul Jabbar quale mio genero. È un rapitore e null’altro”.