“Il suo servizio professionale era ispirato dalla sua fede”. Così l’arcivescovo di Agrigento, il card. Francesco Montenegro, ricorda Rosario Livatino, nel 30° anniversario dell’assassinio per mano mafiosa. E lo fa tracciando il profilo di un “professionista colto”, di un “credente convinto e praticante”. Il cardinale ricorda al Sir la stretta connessione tra il servizio nella magistratura e la sua dimensione religiosa. Ragione per cui è stato avviato il processo di beatificazione. “Livatino è stato ucciso perché perseguiva le cosche mafiose impedendone l’attività criminale, laddove queste avrebbero preteso una gestione giudiziaria debole. Un servizio che ha svolto con un forte senso della giustizia che gli proveniva dalla sua fede”. Nella riflessione il cardinale ricorda le parole pronunciate da san Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi, ad Agrigento, e il suo celebre anatema alla mafia. “Il Papa fu molto toccato dall’incontro con i genitori di Livatino. Egli affermò che Livatino fu martire della giustizia e, quindi, indirettamente, della fede”. Parole che, secondo il cardinale, rispecchiavano un pensiero preciso: “L’impegno di Livatino non andava cercato solo nella causa della giustizia umana, ma nella fede cristiana. È stata la forza di questa fede l’asse portante della sua vita di operatore della giustizia”. Infine, l’esempio del giudice ucciso dalla mafia, oggi modello per tanti suoi colleghi: “In Livatino, oggi la magistratura può avere un esempio luminoso di impegno nella ricerca della verità e della giustizia”.