La polizia e gli organi militari del Venezuela hanno ucciso 1.611 persone nei primi sei mesi del 2020, una media di 9 persone al giorno. La maggior parte delle vittime erano giovani poveri, tra i 18 e i 30 anni. I dati pubblicati sono il risultato di un lavoro congiunto svolto dalla fondazione del Centro Gumilla di Caracas, emanazione dell’Università cattolica Andrés Bello (Ucab), gestita dai Gesuiti, e dal Programma venezuelano di educazione e azione sui diritti umani (Provea). Le due organizzazioni hanno avviato dallo scorso anno un processo di controllo sociale della violenza istituzionale, di polizia e militare. Le migliaia di vittime provocate dalla violenza istituzionale in Venezuela sono, secondo gli autori del report, “la conseguenza di una politica statale che unisce l’incoraggiamento fornito dalle alte autorità a commettere abusi e l’impunità strutturale, dato il dominio del sistema di amministrazione della giustizia da parte del potere politico ufficiale. I funzionari agiscono con piena libertà data la certezza che la loro condotta non sarà indagata o punita, poiché hanno il sostegno di governatori, ministri e altre figure di alto rango della gestione pubblica”. Il report riporta alcuni esempi, documentando che se invece sono persone vicine al regime di Maduro a essere vittime di fatti criminali, le autorità intervengono in brevissimo tempo.
Nella maggior parte degli omicidi perpetrati dalle forze di sicurezza si presumono esecuzioni extragiudiziali, prosegue il documento, alimentando i falsi positivi, il fenomeno tipicamente latinoamericano per cui le autorità presentano gli eventi come se le vittime fossero state uccise mentre usavano effettivamente armi contro la polizia e l’esercito. In realtà, sostiene lo studio, le persone vengono arrestate e successivamente uccise.