Il Covid-19 “ha reso evidenti alcune ingiustizie già conosciute: chi non aveva i necessari supporti informatici, non ha potuto fare lezione. Certi spazi domestici inadeguati e la mancanza di efficienti reti wi-fi hanno accresciuto il divario sociale. D’altro canto, la grande accelerazione tecnologica a cui abbiamo assistito è stata assai utile: ora dovremmo renderla strutturale con un piano di formazione digitale nazionale”. Non ha dubbi lo scrittore e insegnante romano Eraldo Affinati che in un’intervista al Sir sottolinea come la pandemia abbia dimostrato una volta di più la necessità di progettare la scuola del futuro: “Anche le sperimentazioni che stiamo mettendo in campo adesso per la ripartenza (frazionamento dei gruppi, superamento delle cosiddette classi pollaio, rimodulazione degli orari e degli spazi didattici) potranno esserci utili quando, uscendo dall’emergenza, anche fruendo dei tanti sospirati finanziamenti europei, saremo chiamati a progettare una scuola nuova”.
Alla vigilia della prima campanella, lo scrittore esprime un duplice auspicio. Uno, immediato, che “non si debba essere costretti a tornare indietro”, e che il ricorso alla didattica mista avvenga solo “in caso di necessità sanitaria o organizzativa”. Poi, in generale, “sarebbe molto positivo se la scuola del futuro avesse assorbito il sentimento di fragilità che tutti abbiamo provato negli scorsi mesi primaverili. Ci siamo sentiti in pericolo. E questo ci ha affratellati. Per un attimo abbiamo compreso che non si può essere felici se l’infelicità colpisce chi sta accanto a noi. Ecco perché vorrei tanto che la politica non si mettesse a speculare sul sentimento più bello nato come un fiore in mezzo alle rovine”.