“Dentro di noi c’è un residuo arcaico di violenza legato al fatto che l’uomo nella preistoria è sopravvissuto per molti anni cacciando. Il divieto di uccidere non è nel nostro istinto, ma si è affermato sul piano della cultura (e poi della legge); tuttavia oggi nella cultura sociale manca, di fatto, una solida educazione al rifiuto della violenza”. Lo dice in un’intervista al Sir Mario Pollo, antropologo dell’educazione, già docente di sociologia e pedagogia all’Università Lumsa di Roma, interpellato sull’omicidio del giovanissimo Willy Monteiro Duarte.
In paese tutti conoscevano la violenza degli aggressori, eppure… “E’ la prova dell’assenza di una rete sociale, della frammentazione odierna per cui ogni individuo è riferimento solo a se stesso o al massimo a piccole enclave che sviluppano vere e proprie sottoculture, mentre è venuto meno il senso della responsabilità collettiva”, spiega il sociologo. Inoltre, ogni idea “ha lo stesso valore. Una sorta di mucillagine acritica che omogenizza e mette tutto sullo stesso piano, cosicché comportamenti un tempo giudicati trasgressivi e devianti vengono in qualche modo ‘accettati”.
Oggi, prosegue “stiamo assistendo ad un’implosione regressiva” della nostra civiltà. L’auspicio di Pollo è che si tratti semplicemente del “segno della crisi legata al passaggio dalla modernità ad una nuova era”; una crisi che può in alcuni casi “scatenare ansia persecutoria che fa vedere gli altri come potenziali aggressori”. Inoltre “nella cultura contemporanea non vengono più veicolati valori trascendenti. Si parla solo di obiettivi e mete da raggiungere” dimenticando che “la vita deve avere, se non una fede, almeno un aggancio a ideali alti”, ed è “venuto meno il profondo valore della dignità di ogni essere umano”.