Perdonare è un atto “complesso”: richiede l’intervento “coordinato” di “molte virtù, tra cui fortezza, prudenza e mitezza. “Il perdono non va scambiato con stili rinunciatari o con valutazioni distorte: perdonare non vuol dire far finta di niente, come se la cosa non fosse mai accaduta; né pretende di cancellare il passato dalla memoria”. Così il card. Giuseppe Petrocchi, arcivescovo metropolita de L’Aquila, nell’omelia della Messa di chiusura della Perdonanza, pronunciata questa sera nella basilica di Santa Maria di Collemaggio. “Perdonare – ha spiegato il presule – presuppone il non restare imbrigliati nel rancore, per mantenere aperta o ripristinare la via dell’ascolto, della benevolenza, della speranza. Chi perdona prende ‘sul’ serio ciò che è accaduto ma lo supera. Non si lascia sopraffare dal male, ma vince il male con il bene”. Perdonare “è un gesto di libertà e un servizio alla verità”.
Tra le attitudini “necessarie per maturare un’autentica predisposizione al perdono” il cardinale ha indicato “l’umiltà, che, per definizione, è la prima alleata della misericordia” ed è “strettamente imparentata con la verità”. Nel commentare la pagina del Vangelo odierno sul martirio di san Giovanni Battista, l’arcivescovo de L’Aquila ha quindi proposto una “valutazione comparata” tra Maria ed Erodiade: “due donne contemporanee ma, come figure spirituali ed etiche, agli antipodi. Maria, madre della misericordia; Erodiade, donna dell’odio spietato”. Maria, “umile ancella del Signore” e “dimora della pace”; Erodiade “superba sovrana” e “fomentatrice di dissidio e di conflitto”.