Sette massacri in due settimane. Sono quelli avvenuti in Colombia, dalle regioni sud-occidentali (nei dipartimenti di Valle del Cauca,Cauca, Nariño), settentrionali (Antioquia) e orientali (Arauca e provincia del Catatumbo). In tutto 45 le persone morte in attentati commessi da vari gruppi armati, dalla dissidenza Farc a bande criminali e del narcotraffico. Ha suscitato scalpore, in particolare, l’uccisione di 5 adolescenti afro assassinati l’11 agosto mentre lanciavano aquiloni a Cali. Altri otto giovani sono stati massacrati nel municipio di Samaniego (Nariño) il 18 di agosto. Domenica scorsa il presidente della Repubblica Iván Duque ha incontrato a Cali i familiari delle vittime. Numerose le reazioni da parte di rappresentanti ecclesiali e della società civile di fronte a tale ondata di violenza.
L’arcivescovo di Cali, Darío de Jesús Monsalve, ha denunciato il “genocidio generazionale di adolescenti e giovani”, soprattutto poveri, “condannati allo sterminio al posto di avere opportunità per le loro vite”. L’arcivescovo non ha mancato di segnalare le gravi responsabilità delle istituzioni e di criticare la scelta del Governo di combattere il narcotraffico con le fumigazioni di glifosato. “Un ritorno al passato”, secondo mons. Monsalve.
Nei giorni scorsi ha preso posizione anche il primate della Colombia, il nuovo arcivescovo di Bogotá, mons. Luis José Rueda Aparicio: “L’orrore della guerra in diverse regioni continua a calpestare la vita umana”.
Nel messaggio, l’arcivescovo di Bogotá ha insistito: “Non possiamo tacere davanti a gruppi che torturano contadini, indigeni, afro-colombiani, uomini e donne. Non possiamo tacere di fronte alle minacce e agli omicidi di chi è inserito nel processo di pace, non possiamo tacere quando forze macabre cercano di distruggere la speranza dei colombiani con il sangue e il fuoco. In mezzo alla pandemia chiediamo un cessate il fuoco, chiediamo una lotta unitaria contro il traffico di droga, chiediamo riconciliazione sociale, politica, economica ed ecologica”.