La Ru486 viene presentata come “sicura”, eppure le linee guida emanate lo scorso 13 agosto dal ministero della Salute stabiliscono che debbano essere escluse dalla sua somministrazione pazienti molto ansiose, con una bassa soglia di tolleranza del dolore e/o impossibilitate a raggiungere il pronto soccorso ostetrico-ginecologico entro un’ora. A sottolineare la pericolosità della procedura per la salute della donna è in un’intervista al Sir Emanuela Lulli, ginecologa, medico di medicina generale e consigliere nazionale di Scienza & Vita, sottolineando inoltre che “non è prevedibile la tempistica reale dell’aborto” perché la risposta individuale al farmaco “è differenziata” a seconda dello stato di avanzamento della gestazione. “La donna a casa deve trascorrere ore e giorni verificando l’arrivo di contrazioni, sanguinamento, espulsione”; e se l’Ivg chirurgica viene vissuta in anestesia “senza vedere nulla”, nell’aborto farmacologico “questo avviene in due fasi distinte: il mifepristone, un ormone antiprogestinico, uccide il feto; la prostaglandina, da assumere dopo circa 48 ore, induce le contrazioni uterine necessarie alla sua espulsione”. A a nove settimane, “quando l’organogenesi è terminata – avverte la dottoressa – , la donna potrebbe vivere lo strazio di trovarsi di fronte a un piccolo di 2 cm, completamente formato, eliminato per intero o a pezzi. Un calvario tremendo” che certamente renderà ancora più dolorosa la ferita che “molte donne che hanno deciso di abortire” si portano dentro anche per decenni.
Secondo Lulli, inoltre, “gli articoli 1, 2 e 5” della 194 “sul sostegno e la tutela della maternità e i possibili aiuti alla donna per rimuovere le cause che potrebbero indurla all’interruzione volontaria di gravidanza vengono per l’ennesima volta completamente disattesi” e viene ulteriormente banalizzato “un atto gravissimo come la soppressione di una vita”. Per tentare di arginare questa deriva occorre educare la donna “alla conoscenza di sé, dei suoi tempi di fertilità e di approccio alla maternità. Ma servono, più in generale, un’educazione al valore della vita, in ogni sua fase, e aiuti concreti per chi decide di portare avanti una gravidanza. I nostri legislatori – conclude la ginecologa – dovrebbero promuovere e incentivare la natalità. Oggi invece viviamo in un contesto politico-economico-sociale che sembra colpevolizzare chi decide di avere figli”.