“La responsabilità di effettuare le operazioni di soccorso è esercitata con sempre maggiore frequenza da imbarcazioni dello Stato libico, prassi per cui finora oltre 7.000 persone sono state ricondotte in Libia nel 2020. Qualunque tipo di assistenza e responsabilità esercitate da enti libici competenti per le operazioni di ricerca e soccorso dovrebbero essere assegnate a condizione che nessuna delle persone soccorse sia posta arbitrariamente in stato di detenzione, maltrattata o sottoposta a violazioni di diritti umani nelle fasi successive allo sbarco. In assenza di tali garanzie, dovrebbe essere riconsiderata ogni forma di supporto e le responsabilità di ricerca e soccorso ridefinite”. Lo sottolinea una nota diffusa ieri sera da Unhcr e Oim, dopo la morte di 45 tra migranti e rifugiati, avvenuta il 17 agosto a largo delle coste libiche.
“Almeno 302 migranti e rifugiati hanno perso la vita lungo questa rotta finora nell’arco di quest’anno”. Secondo i dati dell’Unhcr e del progetto Missing Migrants implementato dall’Oim, “si stima che il numero attuale di decessi sia probabilmente più elevato di quello ufficiale”.
L’Oim e l’Unhcr riconoscono “le continue criticità poste dagli arrivi via mare e accolgono con favore gli sforzi degli Stati costieri del Mediterraneo volti a non interrompere l’accoglienza di rifugiati e migranti soccorsi”. In un contesto segnato dalla pandemia da Covid-19, “due terzi degli Stati europei hanno trovato il modo di gestire i propri confini in modo efficace consentendo, allo stesso tempo, l’accesso sul proprio territorio alle persone in cerca di asilo. Controlli medici effettuati alle frontiere, certificati di buona salute o periodi di quarantena temporanei all’arrivo sono alcune delle misure implementate da numerosi Paesi europei ed extraeuropei. La pandemia non deve essere utilizzata come una scusa per negare l’accesso a tutte le forme di protezione internazionale”.
La nota ricorda: “Oltre 17.000 persone sono approdate in Italia e a Malta quest’anno via mare dalla Libia e dalla Tunisia, un incremento tre volte maggiore rispetto al 2019. Tuttavia, il numero è calato drasticamente rispetto agli anni precedenti il 2019 ed è gestibile se vi sono volontà politica e solidarietà da parte dell’Ue nei confronti degli Stati costieri europei”. Le due organizzazioni ribadiscono “la necessità di abbandonare con urgenza l’approccio che prevede l’adozione di accordi ad hoc in favore di un meccanismo di sbarco più rapido e strutturato.
L’instabilità e l’assenza di sicurezza in Libia permettono alle reti del traffico, della tratta e del crimine in generale di agire impunemente ai danni di migranti e rifugiati vulnerabili”.
L’Unhcr e l’Oim si appellano alle autorità libiche “affinché adottino misure decise contro i trafficanti. Tali misure dovrebbero prevedere la necessità di smantellare e porre fine alle organizzazioni criminali dedite al traffico di esseri umani per prevenire il verificarsi di ulteriori casi di sfruttamento e di abusi. La comunità internazionale dovrebbe sostenere tali sforzi e assicurare maggiore supporto alle autorità nella lotta contro le reti della tratta di esseri umani”.