Coronavirus Covid-19: don Ambarus (Caritas Roma), “i poveri sono cittadini come tutti gli altri”

Foto Calvarese/SIR

“I poveri sono cittadini come tutti gli altri”: così don Benoni Ambarus, direttore della Caritas diocesana di Roma, commenta al Sir la riapertura delle strutture caritatevoli all’accoglienza dei senza dimora della capitale che, a causa delle restrizioni per la pandemia di coronavirus Covid-19, rischiavano di restare per strada. Una trattativa lunga e difficile attraverso un tavolo tecnico interistituzionale al quale non è mai mancata la Caritas di Roma che, nel confronto con Regione Lazio, Comune di Roma e Asl, ha chiesto e continua a sottolineare l’importanza di una decisione che non sia estemporanea ma  a più lungo termine, grazie alla quale si possa gestire anche un’ipotetica seconda ondata della pandemia e le conseguenti restrizioni necessarie per contenerla. “Intanto è un passo significativo, ma puntiamo a qualcosa di più”, afferma don Ambarus, che vorrebbe vedere allargata la partecipazione di chi gestisce i tamponi di controllo, in questo momento eseguiti solo dal personale dell’Istituto Spallanzani, e la rete per la gestione dell’isolamento preventivo di 14 giorni che allo stato attuale ha trovato un’unica soluzione che può ospitare al massimo 6 persone, mentre ne servirebbero almen0 20 per volta. “I posti di auto isolamento vanno trovati adesso, non quando la situazione potrebbe degenerare, come nel caso di un’emergenza freddo”, dichiara il direttore della Caritas di Roma che ricorda i numeri dello scorso inverno, quando oltre 90 persone senza dimora furono accolte nelle diverse strutture predisposte, una cosa che sarebbe impossibile allo stato attuale. “Se una persona ha una casa e la trovano con la temperatura più alta di 37,5 quando va a lavorare, torna a casa. Ma se una persona che vive in un ostello viene trovata con una temperatura più alta di 37,5, dove va?”, si domanda don Ambarus che amplia il concetto spiegando come il medesimo problema lo hanno gli Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), dove chi deve entrare si trova in una sorta di limbo, costretto a vivere per strada. “Muoviamoci adesso per i protocolli di accoglienza e sicurezza”, aggiunge il sacerdote che si preoccupa per i senza dimora che potrebbero trovarsi in situazioni paradossali come quella capitata a un ospite della Caritas diabetico e cardiopatico: andando a fare dialisi in ospedale, è stato chiamato a fare un tampone 9 giorni dopo per la possibilità di essere entrato in contatto con due persone risultate positive al Covid-19. La stessa Caritas era stata costretta a realizzare per lui un isolamento di emergenza nella struttura, in attesa del responso del tampone, risultato poi negativo, perché l’ospedale non poteva accogliere questa persona. “Cosa dovevamo fare, metterlo per strada?”, domanda don Benoni Ambarus che vorrebbe vedere più impegno delle istituzioni:“Se lo mettevamo per strada e poi moriva, chi ce lo aveva sulla coscienza?”.

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