L’utilizzo da parte dei centri di ricerca di “cavie umane” per testare l’efficacia del vaccino anti-Covid apre “questioni di natura etica non indifferenti. Possiamo trattare gli esseri umani alla maniera di cavie?”. A sollevare la questione è il presidente della Pontificia accademia delle scienze sociali, Stefano Zamagni, in un’intervista al Sir a commento delle parole pronunciate all’udienza sull’universalità del vaccino. “L’appello del Papa ieri – ha detto l’economista – ha sollevato anche un altro problema ed è quello che riguarda quella nuova forma di ricerca che sta emergendo, nota come “human challenge establish” portata avanti da alcuni centri universitari anche molto prestigiosi. Per accelerare i tempi e definire l’efficacia, questi vaccini si testano sulle persone anziché sugli animali. Fino ad oggi i vaccini venivano testati sugli animali ma i tempi di risposta sono molto lunghi. Allora si è pensato di invitare dei volontari (che volontari poi non sono perché vengono pagati) ai quali viene inoculato il Coronavirus e poi subito dopo il vaccino. Ebbene, questa pratica solleva questioni di natura etica non indifferenti. Possiamo trattare esseri umani alla maniera di cavie? Questo è il punto”. L’economista spiega: “La parola ‘cavia’ fa sempre riferimento agli animali e ci sono associazioni di animalisti che contestano l’usabilità dei topi come cavie. Qui siamo arrivati al punto di preoccuparci dei topi e non delle persone. Al momento negli Stati Uniti sono 30 mila le persone che hanno accettato di sottoporsi ai test. Chi sono? Sono i disperati, quelli che in cambio di un pagamento certo, accettano di sottoporsi a verifiche di questo tipo. Ecco perché l’appello del Papa ieri è molto pertinente ed è incredibile che su questi aspetti, a livello di mass media, non si apra un dibattito serio sulla liceità di prospettive e progetti di questo tipo”.