“Lette le nuove linee guida ministeriali rilevo subito che il documento non ha affrontato il giudizio di compatibilità tra la procedura domiciliare della Ru486 e la legge 194 che, invece, prevede l’intera procedura in ricovero ordinario”. Lo dichiara, in un’intervista alla televisione brasiliana Canção Nova, Alberto Gambino, ordinario di diritto privato e presidente dell’associazione Scienza & Vita. “Ricordo – prosegue Gambino – che la soppressione di un feto in Italia resta un reato, anche dopo l’approvazione della legge 194, che lo consente soltanto a determinate condizioni e in una procedura di sicurezza sanitaria della donna, la cui salute era drasticamente a rischio nella precedente epoca degli aborti clandestini”. “Ora, essendo pacifico – e la letteratura citata dal Ministero ne dà atto – che l’aborto chimico abbia più complicanze dell’aborto chirurgico, occorre valutare se tale rischio, che va dunque oltre la legge 194, sia davvero accettabile, ma questo non lo può fare un atto regolamentare secondario come le linee guida ministeriali, bensì occorre un atto legislativo che modifichi la legge 194”.
“Osservo, inoltre, che le linee guida – precisa il giurista – sono state scritte sulla base di una relazione redatta da nove esperti dei quali soltanto una donna, da cui trapela la necessità di minimizzare l’impatto della Ru486 anche per un chiaro intento di risparmio ‘notevole’ sui costi della degenza della donna – come espressamente ammette il documento stesso”. “Ciò – conclude il presidente di Scienza & Vita – si evince, ad esempio, quando il documento sostiene che l’estensione dell’ammissibilità della pratica dalle sette alle nove settimane di vita del feto comporti solo l’aumento di un ‘lieve’ rischio di insuccesso, quando invece il dato riportato dallo stesso documento è che il rischio passerebbe dal 4-5% al 8-10% e, dunque, aumenterebbe addirittura del cento per cento”.