“Durante le proteste della scorsa primavera la bandiera mapuche si è vista spesso nelle manifestazioni anche a Santiago, è diventata uno dei simboli della protesta. E ora, in tutto il Paese, si sta vivendo un momento di attesa nella tensione, per vedere se il dibattito per la nuova Costituente proseguirà”. Lo afferma, padre José Fernando Díaz, religioso del Verbo divino, uno dei massimi esperti di cultura indigena in Cile e in particolare dei mapuche, intervistato dal Sir sulle crescenti tensioni in atto nella regione dell’Araucanía. Dopo la protesta, è arrivata la pandemia, che “è partita dai quartieri ricchi, da chi arrivava dall’Europa, ma si è diffusa poi soprattutto alle popolazioni povere. Le autorità hanno privilegiato l’aspetto sanitario, le terapie intensive e i respiratori, alla prevenzione e all’informazione”.
Quanto al futuro della controversia tra i mapuche e lo Stato cileno, il religioso appare scettico: “Le soluzioni non sono a portata di mano, la stessa mediazione offerta dalla Chiesa fatica a essere praticabile, in primo luogo perché, come è noto, la Chiesa gerarchica in Cile, dopo i recenti scandali, gode di poca popolarità e considerazione e difficilmente può essere considerata un interlocutore dagli stessi indigeni, anche perché nel tempo sono stati interrotti promettenti percorsi di pastorale indigena. La stessa visita del Papa a Temuco, che pure è stata importante, anche per le sue parole a favore degli indigeni e contro la violenza, non ha sortito gli effetti sperati, in questo contesto. Mi pare che in questo momento manchino i possibili mediatori, oltre che un reale e reciproco riconoscimento”.