“Lottiamo ogni giorno con una povertà che cresce sotto i nostri occhi. Abbiamo bisogno di cibo, medicine e vestiti”. È il grido di aiuto di padre Michel Abboud, presidente di Caritas Libano. Da Beirut racconta così al Sir il dramma che sta vivendo il Paese dei Cedri attanagliato da una “crisi economica e finanziaria senza precedenti, scoppiata – ci tiene a precisare – ben prima della pandemia di Covid-19” che fino all’8 luglio ha visto 1.946 contagiati e 36 decessi. “Nei giorni scorsi ci sono stati dei suicidi. Padri di famiglia che la fanno finita perché non riescono a sopportare questa situazione – sottolinea padre Abboud -. Ad armare le loro mani sono il peso della crisi, il non vedere un futuro migliore davanti e soprattutto il non poter assicurare il minimo alla loro famiglia. Tutto questo è devastante”. Secondo i dati forniti al Sir da Caritas Libano, “un salario minimo di 75 dollari Usa oggi basta per acquistare cibo per poco più di 5 giorni”. Il dollaro, valuta cui è agganciata la lira libanese (Lpb), viene scambiato sopra le 9.000 Lbp nel mercato nero poiché non è disponibile al tasso ufficiale di 1.515 Lbp. “I prezzi dei generi alimentari sono aumentati del 50% tra metà marzo e maggio. La lira libanese ha perso l’80% del suo valore, la disoccupazione è arrivata al 40%: questi sono i segnali più evidenti dell’agonia del Paese dei Cedri”. “I beni essenziali – commentano da Caritas Libano – si sono trasformati in beni di lusso che la stragrande maggioranza delle persone non può più permettersi. E in un Paese che importa il 90% degli alimenti di base, la carenza di dollari pone serie preoccupazioni per l’approvvigionamento. È anche per questo che moltissime persone hanno iniziato a piantare semi e coltivare verdure in casa o in pezzi di terra. Nel frattempo sta tornando in auge il baratto, vestiti, scarpe oggetti domestici in cambio di cibo”.
Ci sono fasce della popolazione che risentono più di altre del cocktail crisi-pandemia: sono il milione e mezzo di rifugiati, in larghissima parte siriani e i lavoratori stranieri. “I datori di lavoro di questi ultimi non possono più permettersi di pagare i salari. Dozzine di colf etiopi sono state costrette a dormire per strada. Alcune di loro non hanno nemmeno il passaporto”, denuncia Caritas Libano. “La missione della Caritas si fa sempre più difficile, ma – afferma padre Abboud – cerchiamo di andare avanti. Attualmente assistiamo oltre 40mila famiglie in tutto il Paese. Abbiamo anche attivato una rete di solidarietà dove le famiglie che ancora hanno qualcosa da offrire aiutano vicini, parenti e amici in difficoltà”. Negli ultimi 5 mesi, dice padre Abboud, “la Caritas ha distribuito 11.293 kit alimentari, 5.415 pasti caldi e 3.012 voucher alimentari. Nel mese di giugno Caritas ha distribuito 50.239 medicinali a 11.425 beneficiari in tutto il Libano”. Caritas Libano per questa sua missione si avvale di 35 centri sociali, di 10 centri di assistenza sanitaria, di 7 unità mediche mobili operative in tutto il Libano e di oltre 120 tra Ong e Municipalità. “Fino a quando riusciremo ad andare avanti?”, è la domanda che si pone il presidente di Caritas Libano. Nella speranza che qualcosa “possa cambiare e rassicurare la gente, nelle nostre mense continuiamo a servire i più vulnerabili, ma abbiamo solo pane. La gente ha fame. Lo sforzo più grande adesso è riuscire a dare a tutti un po’ di pane così che vadano a dormire con qualcosa nello stomaco. Quello che chiediamo ai nostri benefattori non sono soldi ma cibo, medicine e vestiti. Confidiamo nell’aiuto internazionale, nelle Caritas di tutto il mondo e nelle Conferenze episcopali estere. Non lasciateci soli”.