Migranti: Unhcr, 72 al mese perdono la vita in Africa occidentale, la rotta più mortale al mondo. Il 28% nel Sahara

Refugees and migrants from Sub-Saharan Africa sleep on the floor at the Tariq al-Sikka detention facility in Tripoli,. Foto: Unhcr

Sono come minimo 1.750 le persone che hanno perso la vita durante i viaggi della speranza attraverso il deserto del Sahara e l’Africa occidentale nel 2018 e nel 2019. Si tratta di almeno 72 decessi al mese, un andamento che rende la rotta una delle più mortali al mondo per rifugiati e migranti. I dati parziali del 2020 ne contano almeno 70, tra cui una trentina di persone uccise per mano di trafficanti a Mizdah a fine maggio. Sono le stime contenute in un rapporto pubblicato oggi dall’Unhcr, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e dal Mixed migration centre del Danish Refugee Council. Queste morti si sommano a quelle delle migliaia di persone che negli ultimi anni hanno perso la vita nel Mediterraneo nel tentativo di approdare in Europa. Circa il 28% delle morti registrate nel 2018 e nel 2019 si è verificato nel corso dei tentativi di traversata del deserto del Sahara. Altre località potenzialmente mortali comprendono Sebha, Cufra, e Qatrun nella Libia meridionale, l’hub del traffico di esseri umani Bani Walid, a sudest di Tripoli, e numerose località lungo la parte di rotta che attraversa l’Africa occidentale, tra cui Bamako e Agadez. I sopravvissuti spesso presentano malattie mentali gravi a causa dei traumi subiti. Nei centri in Libia sono costretti a subire “abusi raccapriccianti, quali esecuzioni sommarie, torture, lavori forzati e pestaggi. Altri continuano a riferire di essere stati vittime di violenze brutali, tra cui essere ustionati con olio bollente, plastica sciolta, od oggetti in metallo riscaldati, di aver subito scariche elettriche e di essere stati legati e costretti a posizioni di stress”. Donne e bambine, ma anche uomini e bambini, “sono a rischio elevato di divenire vittime di stupri e violenza sessuale e di genere, in particolare presso checkpoint e aree di frontiera, e durante le traversate del deserto”. I trafficanti risultano essere stati “i primi responsabili di violenza sessuale in Africa settentrionale e orientale, come registrato nel 60% e nel 90% delle testimonianze”. In Africa occidentale “i responsabili di aggressioni sono stati funzionari delle forze di sicurezza, militari o di polizia, avendo commesso un quarto degli abusi denunciati”.

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