Nel Centrafrica provato da anni di guerriglia e violenze, i numeri del contagio da coronavirus sono più contenuti rispetto a quanto temuto. A qualche mese dall’inizio della pandemia, come racconta padre Federico Trinchero dal Carmelo della capitale Bangui, si può fare un primo bilancio: “Per certi aspetti si può affermare che se l’Africa era tecnicamente molto meno equipaggiata per affrontare la diffusione del virus, dal punto di vista spirituale era sicuramente all’altezza della prova, perché gli africani hanno grandi risorse e capacità di adattamento, anche in situazioni di emergenza impensabili per noi occidentali”. Padre Trinchero, missionario carmelitano scalzo da 11 anni in Centrafrica, intervistato da “Popoli e Missione”, racconta questi difficili mesi di lockdown per il Centrafrica, vissuti con la comunità tra le mura del Carmelo. Grande due volte l’Italia con una popolazione di circa cinque milioni di abitanti, il Paese non ha un sistema sanitario in grado di affrontare l’emergenza di alti numeri di contagi visto che nelle poche strutture di cura si contano in totale solo tre respiratori. Grazie alla bassissima età media della popolazione (il 75% dei centrafricani ha meno di 30 anni) e a tempestive campagne di sensibilizzazione per educare la popolazione a rispettare alcune norme elementari di igiene e distanziamento sociale, il virus si è diffuso molto lentamente e le vittime hanno finora di poco superato la cinquantina.
Ma come ha vissuto in questi mesi la gente del Centrafrica, già martoriato da tanti anni di guerre e violenze? “Il virus non ha stravolto il modo di vivere degli africani, abituati alla guerra, a condizioni di vita molto modeste e a non avere tutto e subito – spiega padre Trinchero –. Istintivamente, la maggior parte della gente ha più fiducia in Dio, nella preghiera. Gli africani sono certi che Dio non li abbandona anche in questa prova”. Ma questi mesi sono stati duri, difficilissimi per la maggior parte della gente, visto che “ovviamente non è stato possibile e neppure pensabile conformarsi a un lockdown come quello che è stato imposto in molti Paesi europei. Qui la gente non vive in casa, ma sulle strade. Come chiedere di non lavorare e restare in casa a chi non sa cosa sia non solo lo smart working, ma anche solo uno stipendio a fine mese e ogni giorno si arrabatta per poter mangiare e dar da mangiare alla propria famiglia?”. Per leggere l’articolo integrale di Miela Fagiolo D’Attilia: https://www.missioitalia.it/centrafrica-p-trinchero-dopo-guerra-e-poverta-sopravvissuti-al-covid/.