“La solidarietà è tornata a casa. E noi siamo molto contento di questo segnale”. Così ha esordito Manferd Weber, capogruppo Ppe al Parlamento europeo, aprendo gli interventi dell’emiciclo sulle conclusioni del Consiglio europeo dei giorni scorsi. Weber però segnala le debolezze: il piano finanziario pluriennale “non dà risposta alle sfide europee dei prossimi sette anni” ma anzi, ha “incredibili tagli” a temi vitali come sanità, innovazione, difesa, Africa e vicinato. E poi: “L’Europa non è un bancomat” e i soldi erogati devono essere usati dai Paesi per obiettivi che siano europei e non di mero interesse nazionale. E poi ancora: il legame dei finanziamenti con il rispetto dello stato di diritto non è chiaro e sta generando molta confusione. “Siamo pronti a cercare soluzioni”, conclude. Per Iratxe Garcia Perez (Socialdemocratici) “l’Ue ha capito gli errori della crisi del 2008, quando erano state messe le banche al centro dell’attenzione e non le persone. Ora è successo l’inverso”, constata con soddisfazione ma poi chiede “una tabella di marcia”, non accetta “i tagli per gli obiettivi a lungo termine”, “nessun euro a chi non rispetta i valori di fondo dell’Ue e lo stato di diritto”. Anche per Dacian Ciolos (Renew Europe) un nodo centrale è che la strategia sia realmente di “investimenti europei” e che quindi si faccia in modo che “i programmi nazionali” che saranno finanziati con il Recovery fund, “integrino le priorità europee”. Per Philippe Lambertz (Verdi), le proposte della Commissione sono state “mutilate” e i meccanismi del piano sono troppo “fluidi”; serve negoziare su “volumi, orientamenti e governance per il bene degli interessi generali”. Per Roberts Zile (Ecr) elementi di difficoltà sono che “i fondi non saranno subito disponibili con il rischio di risposta tardiva” rispetto alla crisi e che i programmi Ue sono stati sacrificati nel Qfp. Anche il Gue è critico sui tagli ai finanziamenti su programmi che “avrebbero aiutato il mercato interno”; secondo Martin Schirdewan “l’Europa ha perso una possibilità”. Numerosi gli interventi degli eurodeputati, tra chi parla di accordo “paradigma dell’Europa che verrà” e chi critica un accordo che “contraendo un debito comune getta un fardello sulle spalle delle prossime generazioni”, chi invece dà il benvenuto al debito comune e alla centralità dello stato di diritto e chi si scaglia contro queste “ingerenze” nell’esercizio della sovranità degli stati, queste derive “da regime socialista”, denunciando che “le sanzioni sono imposte non per difformità rispetto alla giurisprudenza, ma solo sulla base di sospetti” (l’Ungherese del PPe Joszef Szajer). A fine mattinata sarà votata una risoluzione che contiene le “priorità del Parlamento in vista di un accordo”.