La Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica “indica la religione come causa della violenza contro le donne” e costituisce “la base per un potente cambiamento culturale, comportamentale e legale nelle società europee”: lo sottolinea il viceministro della Giustizia polacco, Marcin Romanowski, in merito all’anticipazione relativa alla revoca dell’adesione della Polonia alla Convenzione di Istanbul, ratificata dal Parlamento di Varsavia nel 2015. Secondo il viceministro, la Convenzione si fonda su un presupposto “falso” che “la violenza contro le donne sarebbe condizionata socialmente e culturalmente, avrebbe carattere strutturale e sarebbe prova di un rapporto di forza diseguale tra uomini e donne, maturato nei secoli e che avrebbe portato alla dominazione degli uomini sulle donne nonché alla discriminazione di quest’ultime”. Romanowski si dice convinto che “lo spirito del documento potrà portare a considerare la tutela dei nascituri nel periodo prenatale, garantita dalla Costituzione polacca, un forma di violenza domestica” ed esprime timore che “il modello della famiglia tradizionale con la donna nel ruolo di moglie e madre, mentre l’uomo svolge quello di marito e padre, possa essere ritenuto stereotipato e quindi considerato una delle forme di oppressione della donna”. Il ministro è anche preoccupato per “un eventuale dramma delle famiglie” dovuto ai cambiamenti, che inducono a “una ridefinizione dell’idea di famiglia, al libero accesso all’uccisione dei figli non ancora nati, all’approccio ideologico alla questione del genere, alla valutazione della donna secondo il suo ruolo nella società o la fede, alla promozione attiva di coppie non eterosessuali e all’imposizione di cambiamenti nel programma scolastico che costituirebbero un’ingerenza nei diritti dei genitori”.