“La conversione delle strutture, che la parrocchia deve proporsi, richiede un cambiamento di mentalità e un rinnovamento interiore, soprattutto di quanti sono chiamati alla responsabilità della guida pastorale”. È l’indicazione contenuta nell’Istruzione “La conversione pastorale della comunità parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa”, a cura della Congregazione per il Clero, diffusa oggi, in cui si chiede in particolare ai parroci, “principali collaboratori del vescovo”, una “riforma missionaria della pastorale”. “Onde evitare traumi e ferite, è importante che i processi di ristrutturazione delle comunità parrocchiali e, talvolta, diocesane siano portati a compimento con flessibilità e gradualità”, l’indicazione di rotta del documento, sulla scia dell’opera di riforma della Curia Romana portata avanti da Papa Francesco. Per questo è necessario fare attenzione a non “forzare i tempi” e a non obbedire a logiche elaborate “a tavolino”, “dimenticando le persone concrete che abitano il territorio”. Ogni progetto, quindi, “va situato nella vita reale di una comunità e innestato in essa senza traumi, con una necessaria fase di consultazione previa e una di progressiva attuazione, e di verifica”. Il rinnovamento della parrocchia, inoltre, “non riguarda unicamente il parroco, né può essere imposto dall’alto escludendo il Popolo di Dio”. Di qui la necessità di superare “tanto una concezione autoreferenziale della parrocchia, quanto di una clericalizzazione della pastorale”. È la comunità intera, infatti, “il soggetto responsabile della missione, dal momento che la Chiesa non si identifica con la sola gerarchia, ma si costituisce come Popolo di Dio”. Il presbitero, quindi, come membro e servitore del popolo di Dio che gli è stato affidato, “non può sostituirsi a esso”: “La comunità parrocchiale è abilitata a proporre forme di ministerialità, di annuncio della fede e di testimonianza della carità”.