“È stato chiamato Decreto Rilancio, ma è assente quel cambio di passo senza il quale non può esserci ‘rilancio’ ma solo stanco procedere al ritmo di prima. Dunque più che rilancio, replica del già visto. Replica che non ci possiamo più permettere in un frangente delicato come questo, dove un cambiamento di metodo, di sostanza e di obiettivo – vista la pandemia e le sue conseguenze – non è più solo una scelta ma una necessità urgente”. Lo sostiene oggi don Luigi Ciotti, presidente di Libera e Gruppo Abele.
Secondo il sacerdote, “il decreto compie passi in avanti in certi ambiti, come quello della povertà educativa, delle vittime di usura e violenza sulle donne, delle cooperative di lavoratori di aziende in crisi o confiscate. Su tutto il resto, però (dal sistema sanitario pubblico al reddito di cittadinanza, dall’emergenza abitativa alla regolarizzazione dei lavoratori migranti e l’insufficiente attenzione verso il servizio civile, solo per citare alcuni ambiti) stabilisce criteri di sostegno eccessivamente restrittivi e selettivi, di fatto insufficienti a sanare e rilanciare realtà a lungo ferite da politiche economiche sbagliate che in nome dell’austerità e delle privatizzazioni hanno fatto crescere la povertà e le disuguaglianze a livelli mai visti nella storia del nostro Paese, favorendo solo grandi concentrazioni di ricchezze private”.
È qui, a giudizio di don Ciotti, che “l’impianto restrittivo del decreto denuncia una assenza di visione e un difetto d’impostazione. La pandemia ha messo e continua a mettere in evidenza l’insostenibilità ambientale e sociale e le contraddizioni dell’economia di mercato, la sua inesorabile distruzione dei beni comuni, della biodiversità ed allo stesso tempo dei diritti sociali e della dignità delle persone. Ce lo ha dimostrato anche il Covid-19 come la crisi sociale sia strettamente connessa con quella ecologica. La nostra salute dipende da quella della nostra casa comune”.