“In una situazione come questa che non ha precedenti, i membri dell’equipaggio, che avevano già trascorso tra i sei e i dieci mesi a bordo, hanno dovuto subire il grande inconveniente di vedersi estendere il periodo di lavoro, con la conseguenza di un aumento della fatica personale e di un’assenza prolungata dai loro cari e dal comfort delle proprie case”. Così il card. Turkson, prefetto del Dicastero per lo Sviluppo umano integrale, nel messaggio inviato ieri per la Domenica del mare banalizza la situazione dei 100.000 marittimi che “ogni mese completano il proprio turno contrattuale e sono ansiosi di tornare a casa”, ma “non hanno potuto farlo a causa dello scoppio del Covid-19 e della conseguente chiusura dei confini nazionali e della cancellazione dei voli.” Di conseguenza, “migliaia di marittimi che erano pronti a partire per il necessario avvicendamento sono rimasti bloccati in hotel e dormitori in tutto il mondo, ridotti ad elemosinare da istituti caritativi per le loro esigenze fondamentali come cibo, articoli da toeletta, carte sim”. “A causa dell’impossibilità di scendere a terra e dell’accesso limitato al porto per effettuare visite a bordo – la denuncia di Turkson – i marittimi sulla nave soffrono isolamento e grave stress fisico e mentale che porta molti membri dell’equipaggio sull’orlo della disperazione fino ad arrivare, purtroppo, a suicidarsi”. “Abbiamo notizie di molti marittimi con condizioni mediche gravi e potenzialmente letali non correlate al Covid-19”, fa sapere il cardinale: “Tuttavia queste necessitano di cure mediche urgenti che, purtroppo, sono state negate o sono state ritardate finché essi hanno dovuto essere trasportati su barelle”. Inoltre, “i marittimi tornati a casa dopo un viaggio lungo e drammatico hanno dovuto essere sottoposti a quarantena, o hanno sofferto discriminazione nel proprio Paese perché considerati portatori del coronavirus”.