Nella sua Lettera ai movimenti popolari, pubblicata lo scorso 12 aprile, domenica di Pasqua, papa Francesco ha chiesto l’istituzione di una “retribuzione universale” di base: “Forse è giunto il momento di pensare a una forma di retribuzione universale di base che riconosca e dia dignità ai nobili e insostituibili compiti che svolgete; un salario che sia in grado di garantire e realizzare quello slogan così umano e cristiano: nessun lavoratore senza diritti”. La proposta “non ha mancato di provocare reazioni sia entusiastiche che critiche”, osserva Gaël Giraud, economista, direttore di ricerche al Cnrs (Centre national de la recherche scientifique) di Parigi, dalle colonne del quaderno 4079 de La Civiltà Cattolica, in uscita sabato. Secondo l’esperto, Francesco solleva “una questione teologale” e “sembra porre un’urgente sfida spirituale e politica per accendere i riflettori sulle molte persone invisibili sul pianeta e combattere l’estrema povertà”. Una sfida che richiede “una conversione dello sguardo individuale di ognuno di noi, ma anche una riforma delle strutture sociali che producono e mantengono l’invisibilità di coloro che vivono alla periferia delle nostre società”. In concreto sono moltissime le categorie di lavoratori invisibili ed è a tutti loro, fa notare Giraud, che il Papa si rivolge. Dopo avere ricordato che “nel 2018, oltre 4,2 miliardi di persone (il 60% della popolazione mondiale) vivevano ancora al di sotto la soglia di povertà (7,4 dollari al giorno, ndr)”, l’autore afferma che “questo numero aumenterà notevolmente nei prossimi mesi a causa delle conseguenze catastrofiche del lockdown”, descrivere le definizioni e le varianti del reddito di base e sintetizza il dibattito scientifico e politico più recente. Infine un’opzione di finanziamento, ossia lo “sfruttamento” fiscale dei beni comuni che consentirebbe anche di “contrastare la logica della loro privatizzazione senza vincoli”.