Nel 2019 decine di milioni di persone, soprattutto giovani, sono scese in strada per chiedere diritti, giustizia, libertà, dignità, rispetto per l’ambiente, fine della corruzione e delle disuguaglianze. È accaduto in Cile, Iran, Hong Kong, Iraq, Egitto, Ecuador, Sudan e Libano, dove hanno sfidato le autorità e subito una repressione molto forte, con migliaia di arresti, morti e feriti. È questo il tema che ha caratterizzato, sul fronte diritti umani, l’anno appena trascorso, secondo quanto emerso dal Rapporto 2019-2020 di Amnesty international (Infinito edizioni) presentato oggi in videoconferenza. “I governi hanno reagito bloccando i social e con tattiche nuove, perdendo così ulteriormente credibilità – ha detto Riccardo Noury, portavoce di Amnesty international Italia -. In Cile i carabineros hanno sparato agli occhi, provocando 13.000 feriti. In Egitto sono state arrestate 4.000 persone. Sono scese in piazza le nuove generazioni, come non si vedeva da un decennio, dai tempi della primavera araba. Nonostante la repressione brutale i numeri delle proteste sono stati enormi e hanno portato qualche risultato, come in Cile dove si è aperta la strada delle riforme, in Sudan con la caduta del dittatore Omar al Bashir, a Hong Kong dove è stata ritirata la legge sull’estradizione o in Iraq, dove il governo ha dovuto lasciare”. Dal rapporto emerge però che 64 Paesi nel mondo praticano ancora la tortura e in almeno 32 Paesi avvengono sparizioni forzate. Il volume, con una prefazione di Moni Ovadia, contiene sei panoramiche regionali (Africa subsahariana, Americhe, Asia e Pacifico, Europa, Europa orientale e Asia centrale, Medio Oriente e Africa del Nord) e approfondimenti su 19 Stati (Arabia Saudita, Brasile, Cina, Egitto, India, Iran, Italia, Libia, Myanmar, Polonia, Repubblica Centrafricana, Russia, Siria, Somalia, Stati Uniti d’America, Sudan, Turchia, Ungheria e Venezuela).