“Rendere umana la comunità degli uomini”. È questo l’invito di mons. Sergio Melillo, vescovo di Ariano Irpino-Lacedonia, a politica e istituzioni, in una lettera in questo tempo segnato dalla pandemia da Covid-19. Il presule richiama “ad una comune responsabilità per la città e il nostro territorio con una crescente difficoltà delle famiglie, la disoccupazione, le apprensioni per il lavoro ed un incremento di povertà come l’osservatorio permanente della Caritas diocesana segnala quotidianamente”. Per il vescovo, “tutto ciò è allarmante. Non è più il tempo di occupare spazi, ma di assumersi il carico di sociali responsabilità! Sono, con i nostri parroci, impensierito dalla fuga delle migliori risorse umane e dei giovani. Da parte di chi ha l’onere di governare la città e i nostri territori interni si tratta di non smarrire il dovere di ‘rendere umana la comunità degli uomini’ che non è responsabilità esclusiva dell’autorità o della politica, ma di ciascuno, secondo il proprio ruolo, con le proprie scelte; penso alle forze sociali, all’imprenditoria, ai corpi intermedi, alle strutture sanitarie che hanno avuto difficoltà in questi giorni sofferti della pandemia, al commercio, alle realtà educative, alle strutture di accoglienza (alberghi, agriturismi, ristorazione, etc), all’agricoltura con i suoi prodotti di eccellenza ma priva di un condiviso progetto di sviluppo”.
“Mi pare che tale situazione richieda, trattandosi del bene comune, che ciascuno di noi è costituito in ‘autorità’, perché ciascuno di noi è legato al destino dell’altro da una corresponsabilità che non viene mai meno, anche se la si ignora”, avverte mons. Melillo, per il quale “ci è richiesto di cercare spazi comuni, visioni e nuovo dinamismo” creando “una collaborazione tra le istituzioni, tra persone che hanno o avranno compiti di responsabilità nel prossimo futuro nella città e nel territorio per perseguire spazi di sereno dialogo e confronto”. Di qui la richiesta: “Vanno aperti varchi, per rompere l’isolamento e per amore di questa comunità”. E il richiamo “ad una comune responsabilità”: “Più che di ‘abitare’, forse abbiamo bisogno di ‘ri-abitare’ la città, le nostre contrade, i territori; per fare questo è necessario acquisire la piena consapevolezza che il nostro destino è comune: non può distinguersi, non può separarsi. Se va a ‘fondo’ la città – intesa nel senso del territorio cui apparteniamo – andiamo a ‘fondo’ noi, le nostre famiglie, i nostri figli”.