(Bruxelles) Nel 2019 le domande di asilo nei Paesi Ue, arrivate a quota 738.425, sono aumentate dell’11% rispetto all’anno precedente: è l’aumento più consistente dal 2015, l’anno della grande crisi delle migrazioni. Cipro, Francia, Grecia, Malta e Spagna hanno ricevuto più domande di asilo che in quegli anni. Le ragioni dell’incremento: un forte aumento di persone arrivate dal Venezuela (+103% rispetto al 2018) e dalla Colombia (+214% rispetto al 2018). Siriane sono state le persone che hanno presentato più domande (80.205, l’11%); poi gli afgani (60.700, 8,2%) e i venezuelani (45.645, 6,2%). È l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (Easo) che ha pubblicato oggi il rapporto annuale sull’asilo. La Germania è il Paese che ha ricevuto più richieste (165.615) seguito da Francia (128.940; 17%) e Spagna (117.795; 16%), mentre il minor numero è stato presentato in Liechtenstein (50), Estonia (105) e Lettonia (195). L’Italia ha ricevuto 43.770 domande. Il rapporto dice che “i Paesi che hanno ricevuto un elevato numero di richiedenti asilo hanno intensificato gli sforzi per far fronte” alle necessità legate agli afflussi e soprattutto dei minori non accompagnati. Eppure le “procedure di primo grado sono state lunghe nella maggior parte dei Paesi, estendendosi spesso oltre il termine legale di sei mesi”: il numero di decisioni prese in primo grado (esclusi i ricorsi) nel 2019 è calato (-3%, pari a 584.770) e i casi pendenti alla fine del 2019 era di 912mila domande.
La Germania ha registrato il maggior numero di decisioni prese (154.175; 26%), seguita da Francia (113.890; 19%) e Italia (93.485, 16%). Il 40% delle richieste ha avuto esito positivo (il 96% delle richieste dei venezuelani, l’86% dei siriani l’85% degli eritrei e 82% degli yemeniti. I numeri delle domande pendenti si sono un po’ ridotti a inizio 2020 perché il lockdown ha chiuso gli uffici e così se ne sono potute smaltire un po’. Il lock down ha anche portato un calo del 87% delle domande per ovvi motivi, ma l’Easo prefigura un ritorno ai numeri del 2019 o addirittura più alti, per le ricadute della pandemia sui Paesi più in difficoltà.