Tutte le Chiese particolari sono coinvolte nella pastorale migratoria, “in quanto appartenenti a paesi di origine, di transito o di destinazione dei migranti”. E’ l’appello del Direttorio per la catechesi, presentato oggi in sala stampa vaticana, in cui si fa notare che “in non pochi casi, il processo migratorio comporta non solo gravi problemi umanitari, ma spesso anche l’abbandono della pratica religiosa e la crisi delle convinzioni di fede”. Di qui la necessità di promuovere “progetti di evangelizzazione e accompagnamento dei migranti in tutto il loro viaggio, partendo dal paese d’origine attraverso i paesi di transito fino al paese di accoglienza, con particolare attenzione a rispondere alle loro esigenze spirituali attraverso la catechesi, la liturgia e la celebrazione dei sacramenti”. “Nella catechesi con le comunità di accoglienza si presti attenzione a motivare al dovere della solidarietà e a combattere i pregiudizi negativi”, la raccomandazione del testo, che esorta anche a considerare i “gravi problemi che precedono e accompagnano il fenomeno migratorio, quali la questione demografica, il lavoro e le sue condizioni (fenomeno del lavoro nero), la cura dei molti anziani, la malavita, lo sfruttamento”. Anche agli emigrati va assicurata “la possibilità di mantenere la fede vissuta nel paese di origine”, con una catechesi che “va organizzata e gestita in pieno accordo con il vescovo del luogo, in modo che si sviluppi in armonia con il cammino della Chiesa particolare e sappia coniugare rispetto dell’identità e impegno all’integrazione”. Il Direttorio invita infine a pensare anche ad una catechesi con “le persone marginali”, come “i profughi, i nomadi, i senza fissa dimora, i malati cronici, i tossicodipendenti, i carcerati, le schiave della prostituzione”.