Mosè è “uomo come noi”, con i suoi “dubbi” e ”timori”. Lo ha spiegato il Papa, che ha dedicato l’udienza di oggi, trasmessa in diretta streaming dalla biblioteca privata del palazzo apostolico, alla preghiera di Mosè. “Quando Dio lo chiama, Mosè è umanamente un fallito”, ha fatto notare Francesco: “Il libro dell’Esodo ce lo raffigura nella terra di Madian come un fuggiasco. Da giovane aveva provato pietà per la sua gente, e si era anche schierato in difesa degli oppressi. Ma presto scopre che, nonostante i buoni propositi, dalle sue mani non sgorga giustizia, semmai violenza. Ecco frantumarsi i sogni di gloria: Mosè non è più un funzionario promettente, destinato ad una rapida carriera, ma uno che si è giocato le opportunità, e ora pascola un gregge che non è nemmeno suo. Ed è proprio nel silenzio del deserto di Madian che Dio convoca Mosè alla rivelazione del roveto ardente: ‘Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe’. Mosè allora si coprì il volto, perché aveva paura di guardare verso Dio”. “A Dio che parla, che lo invita a prendersi nuovamente cura del popolo d’Israele, Mosè oppone le sue paure, le sue obiezioni”, ha osservato il Papa: “Non è degno di quella missione, non conosce il nome di Dio, non verrà creduto dagli israeliti, ha una lingua che balbetta… La parola che fiorisce più spesso sulle labbra di Mosè, in ogni preghiera che rivolge a Dio, è la domanda: perché? Perché mi hai inviato? Perché vuoi liberare questo popolo? Nel Pentateuco c’è perfino un passaggio drammatico, dove Dio rinfaccia a Mosè la sua mancanza di fiducia, mancanza che gli impedirà l’ingresso nella terra promessa”. “Con questi timori, con questo cuore che spesso vacilla, come può pregare Mosè?”, si è chiesto Francesco: “Anzi, Mosè appare uomo come noi. Anche questo succede a noi, quando abbiamo dei dubbi: ma come possiamo pregare ? Non ci viene di pregare. Ed è per questa sua debolezza, oltre che per la sua forza, che ne rimaniamo colpiti”.