In Uganda finora non sono stati registrati decessi per Covid-19, anche se i casi confermati di contagio attualmente sono 696. Nonostante ciò non mancano motivi di preoccupazione per il potenziale impatto che la pandemia potrebbe avere, per esempio, nel campo di rifugiati di Palabek, che ospita 56.000 persone. Secondo i salesiani del Paese africano “il campo è un luogo a grande rischio. Oltre al timore che esso possa diventare un enorme focolaio, vi sono grandi preoccupazioni per l’approvvigionamento alimentare e i problemi educativi e psico-sociali derivanti dalle restrizioni imposte dalle autorità”. “Sono stati osservati dei movimenti tra i rifugiati del Sudan del Sud, che attraversano di nascosto i confini non ufficiali, e anche tra campi profughi – spiegano i missionari ripresi dall’agenzia salesiana Ans – di recente circa 50 camionisti in transito che erano stati in Sudan del Sud sono risultati positivi”. “I nostri rifugiati nel campo di Palabek non seguono le regole che potrebbero contrastare la diffusione di Covid-19. Per il loro stile di vita, i rifugiati spesso sono incontrollabili”, evidenzia don Jeffrey Albert, uno dei salesiani attivi a Palabek. La riduzione delle razioni alimentari è un altro evidente problema nell’insediamento: il cibo disponibile è calato del 30% e per una persona adulta è quasi impossibile mantenersi per un mese. “Questo può generare fame, malnutrizione e anche frustrazione, rabbia e altri disordini sociali”, osserva da parte sua don Lazar Arasu, responsabile della presenza salesiana a Palabek. Anche la salute desta preoccupazione. I servizi medici forniti ai rifugiati sono sempre stati scarsi: ci sono sole tre unità sanitarie, con strutture minime, per oltre 56.000 rifugiati; inoltre, queste strutture sono condivise da diverse migliaia di cittadini ugandesi dei dintorni. La chiusura delle scuole decretata a livello nazionale tocca anche le 11 scuole primarie, la scuola secondaria e la scuola tecnica presenti nell’insediamento. Stando a casa, con meno cibo di prima, senza lezioni, senza distrazioni di alcun tipo (sono state chiuse anche le strutture per fare sport e altre attività giovanili), i bambini e i giovani sono stretti tra angoscia e nervosismo. Diversi adolescenti e giovani adulti hanno assunto atteggiamenti antisociali e una vita sessuale sregolata. Il governo sostiene l’apprendimento online, ma questo è praticamente impossibile per i rifugiati. Chiuse anche le cappelle all’interno dell’insediamento e ciò “è coinciso con il perdere anche quel minimo di sostegno spirituale e psicosociale che i religiosi potevano offrire”. Per fare fronte ai bisogni i salesiani “sperano di ricevere qualche donazione”.