“La pandemia da Covid-19 che ha colpito tutto il mondo ha travolto e stravolto come un uragano le nostre vite. Anche la festa del Santo ne subisce le conseguenze”. Lo ricorda fra Oliviero Svanera, rettore della pontificia basilica di Sant’Antonio, nel messaggio alla città, in occasione della festa di Sant’Antonio che si celebra il 13 giugno. In particolare, dopo secoli, la statua processionale di Sant’Antonio il 13 giugno non attraverserà le vie della città di Padova: “Sarà invece la benedizione dall’alto di un elicottero, messo a disposizione dall’esercito, a farci sentire la presenza del Santo”.
Nel messaggio, fra Svanera ricorda che “in questo 2020 si fa memoria degli ottocento anni della vocazione francescana di sant’Antonio” e che “in occasione di questo anniversario Papa Francesco ha scritto una lettera al ministro generale del nostro Ordine dei Frati minori conventuali”. Di quanto scrive il Papa, racconta il rettore, “mi colpiscono due parole”, “riferite in particolare ai giovani”. La prima è “passione”: “Passione nel senso dell’appassionarsi alla vita, dell’entusiasmarsi alla verità e alla giustizia. Non basta offrire ai giovani oggetti o esperienze per godersi la vita. Il coronavirus smaschera ancor più il bisogno di ragioni di vita. Non basta garantire il ben-essere alle nuove generazioni, è necessario per noi adulti un essere-ben radicati nella nostra vocazione, credere cioè noi per primi nella verità e nella giustizia ed esserne testimoni credibili e affidabili. Solo così si genera passione alla bellezza del vivere. Solo così i nostri giovani possono affrontare l’angoscia provocata dal nichilismo”. Secondo fra Svanera, “l’esempio di Antonio può suscitare dunque la speranza dell’impossibile reso possibile. Dei sogni che diventano realtà, dei progetti realizzabili e realizzati”.
La seconda parola è fecondità: “La generazione giovanile si coniuga con la fecondità. Possiamo infatti vivere una vita sterile. Possiamo rischiare di buttare via la nostra vita”. Perciò, “siamo responsabili della nostra vita affinché non si perda. Per questo bisogna che la vita sia generativa. Abbiamo bisogno di giovani generativi. E non si tratta solo di pensare che i giovani si sposino e siano procreativi, cosa che certo auspico. Si tratta di uscire dal nostro delirio di autonomia e onnipotenza tecnologica, per cui siamo concentrati solo su noi stessi”. In tal senso, “il coronavirus ci ha edotti sulle nostre fragilità, sul rischio di generare solitudine e non futuro. Serve domandarci come e dove essere generatori di vita, capaci di donare, di vivere una vita generosa, che si spende per amore degli altri”. E conclude: “Chiediamo allora a san Francesco e a sant’Antonio passione e spirito generativo, perché senza queste qualità non c’è possibilità di ripartenza dopo la pandemia”.