“Sono qui per un momento di preghiera comune, per celebrare il messaggio di libertà dall’assalto del virus che speriamo si completi sempre di più, ma soprattutto per ricordarci quella libertà interiore che nessuno può limitare. Abbiamo bisogno tutti, sia voi che abitate qui che noi, di liberarci da ciò che ci impedisce di camminare con passo spedito sulla via della verità e del bene”.
Lo ha detto mons. Renato Boccardo, arcivescovo di Spoleto-Norcia, in visita alla casa di reclusione di Spoleto, dove stamattina ha celebrato una Liturgia della Parola. Dallo scorso 1° giugno nelle carceri italiane è nuovamente possibile celebrare le Messe dopo il periodo di restrizione a causa del Coronavirus. Nel carcere di Spoleto vivono 430 detenuti. “Venire qui è un segno per avviarci insieme alla ricerca della libertà che permette di allontanare da noi ogni forma di male e guardare con speranza al futuro – ha affermato il presule –. Come Chiesa, cari amici detenuti, vi siamo vicini, vi diciamo la nostra solidarietà e vi assicuriamo quella compagnia fatta di piccoli segni e gesti che possono alleviare anche la sofferenza dovuta alla lontananza dalla propria famiglia”. I detenuti, si legge in comunicato dell’arcidiocesi, “erano dietro le grate delle finestre delle celle, con lo sguardo all’insù verso la torre, all’11° piano dove si celebrava, per partecipare”. Dall’inizio della pandemia sono stati eseguiti tre cicli di tamponi, sempre e tutti negativi. “È stato un periodo molto penoso e duro – ha detto il direttore del carcere, Giuseppe Mazzini – i detenuti sono stati limitati nella possibilità di parlare con i loro congiunti e sono state interdette le visite personali. Ma con un grande sforzo dell’amministrazione penitenziaria abbiamo cercato di lenire queste ferite favorendo colloqui con i familiari tramite Skype”. “I detenuti – prosegue il comunicato – hanno manifestato la loro solidarietà al lutto e alla sofferenza di tante persone, ma anche l’attaccamento alla Patria e alla Bandiera, realizzando un telo di grandi dimensioni sistemato nell’alta torre, predisposto anche di un impianto di illuminazione verde, bianco e rosso, con scritto: “L’Italia chiamò. Solidarietà e speranza non hanno barriere. Uniti andrà tutto bene”. Durante l’incontro hanno portato la loro testimonianza due detenuti con “un fine pena mai”, Girolamo, siciliano di Siracusa, da 28 anni in carcere (23 dei quali a Spoleto) e Vincenzo di Napoli. Entrambi hanno voluto esprimere la loro solidarietà ai colpiti dalla pandemia: “Abbiamo capito che la situazione era dura nel vedere le immagini dei camion dei militari portare via i morti dal nord Italia. Abbiamo pianto e sofferto con tutto il Paese, perché noi siamo un ‘mondo’ che è parte integrante del ‘mondo’ che sta al di là di questi muri. È stato difficile. Dobbiamo però ringraziare la direzione che ci ha dato la possibilità di sentire con frequenza i nostri familiari. Ma ringraziamo Dio che ci dà speranza per il futuro”. Dopo la benedizione dell’arcivescovo, un piccolo coro di detenuti ha eseguito tre brani (l’Inno d’Italia, Azzurro di Adriano Celentano e Nel blu dipinto di blu di Domenico Modugno). È stato l’omaggio dei detenuti ai sanitari italiani, rappresentati dai medici e infermieri che svolgono servizio nel carcere di Spoleto. La Polizia Penitenziaria ha donato un mazzo di fiori a Simonetta Antinarelli, direttore del distretto di Spoleto della Asl Umbria 2. Mons. Boccardo, prima di lasciare il carcere, ha salutato e dialogato con un gruppo di detenuti, promettendo presto un’altra visita. Nella casa di reclusione riprenderanno, con prudenza e gradualità, nel rispetto delle norme di distanziamento previste e rapportate alla grandezza della Cappellina interna, le celebrazioni eucaristiche. “Siamo certi – ha detto Mazzini – che il ritorno della dimensione spirituale favorirà la pace del cuore e dell’anima e quindi anche quella dei corpi dei detenuti”.