In occasione della Giornata mondiale delle vocazioni il vescovo di Rimini, mons. Francesco Lambiasi, ha scritto una lettera aperta indirizzata al mondo dei giovani. Focalizzandosi sulla figura del Buon Pastore, il presule ha voluto presentare ai giovani l’immagine di un Gesù “sin-patico”, che vuole cioè soffrire e gioire “per noi e con noi”, rifacendosi all’idea dell’“incontro simpatico con Cristo” evocata per tanti anni da don Oreste Benzi.
“Gesù è un tipo forte, sensibile, autorevole, esigente, generoso, attraente, coraggioso e chi più ne ha più ne metta – spiega mons. Lambiasi nella sua lettera, ripresa e diffusa dal settimanale diocesano riminese ilPonte –. Ma connotare Gesù come simpatico, mi stimola a riflettere con voi sull’immagine con cui si è autodefinito lui stesso: ‘Io sono il bel Pastore’”. Un pastore simpatico, nel senso di “sin-patico, letteralmente un pastore che soffre con noi e si offre per noi. Per ben cinque volte Gesù si presenta come il Pastore che dà la vita per le sue pecorelle”.
Un’immagine evocativa, che però può mettere la comunità dei cristiani in una posizione di anonimato, di massa succube e caotica. “L’immagine del gregge – chiede il vescovo ai giovani – non si trascina forse dietro l’idea di un popolo cristiano fatto di individui arrendevoli, che obbediscono ciecamente all’autorità dei pastori? Assolutamente no. Ricordiamo le parole nette e schiette che rivolge loro il primo Papa, San Pietro: ‘Voi come pastori, prendetevi cura del gregge che Dio vi ha affidato. Non comportatevi da padroni delle persone a voi affidate, ma siate un modello per tutti’”.
Come permettere ai giovani di incontrare questa figura di Gesù? “Dov’è reperibile oggi? Il nostro sin-patico Pastore non si è stancato di mantenere la promessa: Io sono con voi tutti i giorni – risponde il presule –. Anche in questi giorni duri e difficili del Covid-19. E io l’ho visto. Nei medici, infermieri e Oss, che si sono sfibrati per guarire, assistere, accompagnare. E molti di loro ci hanno rimesso anche la vita. L’ho visto nei malati e i loro cari. Nei preti, religiose e religiosi che ci hanno aiutato con l’ascolto e la preghiera a coltivare la nostra fede. E nel centinaio di giovani volontari della Caritas”.