Con la fase 2 dell’emergenza, il Governo ha decretato finalmente la possibile della riapertura dei Centri diurni per disabili, dando il via libera alle stesse Regioni, che dovranno però garantire la riattivazione dei Centri attraverso piani territoriali e specifici protocolli, nel rispetto delle disposizioni per la tutela della salute degli utenti e degli operatori. Non sono però ancora stati scritti dei protocolli specifici e le persone disabili, e le loro famiglie, devono fare i conti con risposte che continuano a farsi attendere. “Quest’attesa si sta facendo sempre più pesante perché in questi mesi di chiusura dei Centri, le Asl e i Comuni non hanno quasi mai attivato le co-progettazioni di servizi alternativi ai ricoveri nei Centri diurni, anche se il decreto ‘Cura Italia’ non metteva limiti agli interventi: domiciliari, a distanza, o personalizzati e individuali, da svolgersi negli stessi Centri diurni”: lo evidenzia Francesca Di Maolo, presidente dell’Istituto Serafico di Assisi, per la quale “è doveroso ricordare” alle istituzioni che nessuno e a nessun livello istituzionale ci ha saputo dire come e quando potremo rimettere in moto tutte quelle attività sanitarie e sociosanitarie che sono fondamentali alle persone per vivere con dignità. Le attività per i disabili devono essere ripensate e fatte ripartire il prima possibile, perché queste persone rischiano di perdere le autonomie conquistate e i progressi raggiunti dopo lunghi periodi di riabilitazione. C’è inoltre in ballo il futuro delle nostre strutture e quello di tanti lavoratori che per anni hanno seguito la vocazione del prendersi cura”.
“Siamo stanchi di accettare passivamente che le categorie dei più fragili vengano costantemente dimenticate, l’intera collettività deve farsene carico, a partire da ogni livello istituzionale”, prosegue la denuncia della presidente del Serafico che ricorda: “Per la prima volta ci è concesso di effettuare dei progetti personalizzati ed è questa la strada da perseguire per una vera ripartenza: superare la burocrazia e passare da un welfare che si basa sulla standardizzazione dei bisogni e dei servizi ad un welfare che risponde con servizi differenziati ai bisogni della persona”. E conclude: “Voglio avere fiducia nelle istituzioni – auspicando che non prevalgano quelle stesse logiche di contenimento della spesa che hanno caratterizzato gli interventi di assistenza sanitaria degli ultimi anni – e voglio sperare che sappiano finalmente riconoscere alle persone più fragili il diritto di sentirsi a pieno titolo parte della società”.