Al 31 dicembre 2018, risultano occupati nella sanità pubblica circa 692mila dipendenti, di cui 650mila a tempo indeterminato, ossia circa un quinto del personale stabilmente assunto nella pubblica amministrazione. È quanto comunica oggi l’Istat diffondendo i dati su “L’occupazione nella sanità pubblica”.
“Dal 2009 – spiega l’Istat – si è registrata una progressiva riduzione degli occupati a tempo indeterminato per effetto delle politiche di contenimento della spesa per il personale nel settore pubblico e, soprattutto, dell’applicazione in alcune regioni dei piani di rientro della spesa sanitaria”. In particolare, tra il 2009 e il 2018, la diminuzione complessiva è stata di circa 44mila unità (-6,4%). “Tale riduzione – si legge nella nota – è stata solo parzialmente compensata dall’innalzamento dei requisiti per l’accesso alla pensione – che, trattenendo i lavoratori più anziani, ha velocizzato il processo di invecchiamento del personale – e dalla crescita del ricorso al lavoro flessibile (a tempo determinato e in somministrazione)”. Nel 2018, gli occupati con forme di lavoro flessibile sono circa 42mila, contro i 38mila del 2009 e i 31 mila del 2013.
Stando ai dati diffusi, la diminuzione più marcata di personale stabile (-13,5%) ha riguardato i dirigenti non medici (con ruoli tecnici, amministrativi o professionali, inclusi i sanitari non medici). Il maggior ricorso a forme di lavoro flessibile (+64%), infatti, è riuscito a compensare solo un quarto delle cessazioni. Tra i medici (inclusi odontoiatri e veterinari) la contrazione del personale stabile è stata del 5,4%; anche in questo caso solo un quarto delle cessazioni è stato controbilanciato dall’incremento del lavoro flessibile (+26%).