“La vita dei missionari e dei testimoni e il dono dello Spirito”: ruota intorno a questi punti la meditazione al Vangelo di Domenica di Pentecoste (31 maggio) di mons. Pierbattista Pizzaballa, Amministratore apostolico del Patriarcato Latino di Gerusalemme. Parlando della missione l’arcivescovo afferma che quella dei “discepoli deve essere come quella del Figlio, deve avere i suoi stessi atteggiamenti, i suoi stessi sentimenti, le sue stesse intenzioni, il suo stesso pensiero”. E per l’evangelista Giovanni, autore del brano evangelico di Domenica, “questo ‘come’ si può riassumere tutto in un’unica opera di Gesù, quella che lui mette al cuore dell’ultima cena, ovvero la lavanda dei piedi. Giovanni non sente il bisogno di scrivere nulla a riguardo delle modalità della missione: basta questo come”. Contenuto della missione “è l’invito, da parte del Risorto, ad andare e a perdonare i peccati. Il soffio di Gesù che alita sui discepoli e comunica loro lo Spirito è come un nuovo gesto creatore, come quello con cui all’inizio dei tempi Dio alitò nell’essere umano il soffio vitale. Ma qui – precisa mons. Pizzaballa – la vita che l’uomo riceve è la vita stessa di Dio, la vita del Risorto, capace di vincere la morte e il peccato. È una vita nuova, riconciliata con Dio nella morte di Cristo, una vita perdonata e, quindi, capace di perdono”. Il contenuto della missione, secondo l’Amministratore apostolico, “non potrà essere se non questo, quello della misericordia senza limiti che Dio ha rivelato sulla croce, per tutti. Perché l’unico modo di vincere il male è il perdono”. Per questo motivo, “il perdono è il grande annuncio del Regno: la missione dei discepoli, che partecipa all’unica missione di Cristo, non potrà essere se non l’annuncio che Dio ci perdona, che Dio sta davanti al nostro male non giudicandoci, non punendoci, ma perdonandoci, cioè offrendo ogni volta un nuovo inizio. Per questo è un grande annuncio di speranza, l’unico vero annuncio di speranza”. Luogo del perdono, sottolinea l’arcivescovo, “è la croce. Perdonare significa in qualche modo salire sulla croce per l’altro, stare lì dove il male viene arginato, dove viene assunto, per l’altro. Non c’è perdono che non passi di qui, ma non c’è testimonianza cristiana che non passi di qui. E, non c’è comunità cristiana, non c’è comunione che non passi di qui, da questa strettoia del dare la vita, come Gesù ha fatto per noi”. “La missione della Chiesa – conclude mons. Pizzaballa – dipenderà in gran parte da questo accedere di ciascuno a quella vita nuova, ricreata dallo Spirito nel perdono incondizionato di Cristo, e per questo chiamata a condividere il dono ricevuto”.