La Commissione ecuadoriana per l’ecologia integrale, composta da rappresentanti di Caritas Ecuador, Rete ecclesiale panamazzonica (Repam), Rete pastorale ecologica nazionale, Associazione Yaguarcocha, Azione ecologica e Conferenza ecuadoriana dei religiosi, a cinque anni dall’uscita dell’enciclica Laudato si’, lancia l’allarme sulle politiche economiche attuate nel Paese, in un momento di profonda crisi. In particolare, la Commissione accusa: “Le politiche pubbliche in materia economica sono state applicate per favorire ed espandere le attività di estrazione petrolifera, estrazione mineraria e mega strutture idroelettriche in Ecuador, le stesse che per decenni hanno causato impatti ambientali, sociali e culturali tradotti in violazioni dei diritti umani. Queste politiche danno la priorità solo alle entrate economiche per queste società e a un settore esclusivo dello Stato”, rinunciando a politiche pubbliche che “garantiscano il rispetto dei diritti in tutta la società”.
Ancora, gli organismi firmatari denunciano “la situazione della tripla vulnerabilità delle comunità della sierra (la zona montuosa, ndr), della zona costiera e dell’Amazzonia, dove si sviluppano progetti estrattivi” sempre più numerosi: “Il grido dei poveri si unisce al grido della Madre Terra”. Ma anche nelle campagne aumenta lo sfruttamento dei lavoratori, che vedono sempre più svalutarsi il proprio lavoro. Inoltre, “le comunità non hanno accesso a un sistema sanitario che potrebbe accogliere nuovi focolai di contagio”. Un’ulteriore denuncia riguarda la “criminalizzazione e violenza contro i difensori dei diritti umani e dell’ambiente, aumentata durante la quarantena, specialmente in Amazzonia”.
I firmatari citano alcuni casi di attentati ai diritti delle persone e all’ambiente, come l’aumento delle attività estrattive illegali nella zona settentrionale di Esmeraldas che contaminano i fiumi Palabí e Bogotá e le comunità Ceibas, Chachi, Calle de la Virgen ed Estero Durango, le aggressioni nella provincia di Zamora da parte delle compagnie minerarie, la perdita di greggio dall’oleodotto nella provincia dell’Orellana, che ha inquinato i fiumi Napo e Coca, arrivando a colpire 97mila persone di 150 comunità, in un contesto di impunità.
Conclude la nota: “Crediamo fermamente che questo sia un momento per ripensare il modello di vita che abbiamo, per riconoscere che come umanità dobbiamo reinventare il modo di vivere. Non possiamo essere soggetti alla dittatura della tecnologia o dello scientismo e nemmeno del denaro rispetto al diritto alla vita delle persone. Ma soprattutto in Ecuador la vita dignitosa dei suoi cittadini deve essere garantita, non ponendo l’accento sul loro reddito economico ma sulla dignità di ogni essere umano”.