Coronavirus Covid-19: comunità per tossicodipendenti, “ci siamo date delle linee guida. Non abbiamo chiesto, ma, per primi, abbiamo dato”

“Il nostro lavoro di operatori di comunità ci caratterizza come persone che portano speranza a coloro che sono disperati, persone che parlano di futuro a quelli che sono nauseati ed atterriti dalla vita; siamo persone abituate a camminare a braccio di quanti si trascinano nell’inferno freddo dell’afasia dei sentimenti. Siamo abituati a vivere accanto a chi è ossessionato dalla morte. La nostra storia, il nostro lungo e faticoso cammino ci ha resi forti. E, come e più di prima, abbiamo testimoniato questa forza” nell’emergenza coronavirus. A sottolinearlo sono Biagio Sciortino, presidente nazionale di Intercear-Rete dei coordinamenti regionali degli enti accreditati per le dipendenze, Luciano Squillaci, presidente nazionale della Fict (Federazione italiana comunità terapeutiche), e padre Salvatore Lo Bue, presidente della Casa dei Giovani (Bagheria), in una lettera aperta in cui denunciano come le comunità terapeutiche siano state abbandonate al loro destino in questo frangente.
“Pensiamo di essere stati all’altezza dell’impegno a cui siamo stati chiamati: da gennaio fino ad oggi la maggior parte dei nostri ragazzi non ha interrotto il programma terapeutico nelle nostre comunità”, sottolineano nella missiva. E non solo: “Le nostre proposte su come organizzare la vita delle comunità terapeutiche in tempo di coronavirus, se non sono state recepite dai vertici del Governo e della sanità, sono state però valutate ed apprezzate da molti responsabili locali di diversi Dipartimenti per le dipendenze patologiche, diventando un modello da proporre e diffondere. Non abbiamo chiesto, ma, per primi, abbiamo dato”.
Così è apparsa “una conquista eccezionale, una svolta” la possibilità di effettuare i tamponi a ben 35 persone, ospiti e operatori, nella comunità terapeutica Casa dei Giovani di Bagheria.
Ascoltando i resoconti dell’emergenza su come, nelle residenze per anziani e in altre strutture assistenziali, il virus sia dilagato portando morte, “per oltre tre mesi i ragazzi delle comunità sono stati con l’animo sospeso, angosciati, continuando, nonostante tutto, a portare avanti i laboratori, la terapia, ma con l’amarezza di costatare che tra quella pletora di esperti che pontificavano dagli schermi nessuno aveva avuto un pensiero, una parola per loro”. La lettera si conclude con un’amara constatazione: “Tutti sapevano che i tossicodipendenti sono persone fragili, immunodepressi…”, eppure sono restati “ignorati”. E, ora, anche il futuro fa paura.

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