“In questi giorni si è acceso un dibattito sulle messe: aprire o aspettare ancora? In realtà la vita di tutti ci sta dicendo di pensare a cose più urgenti: il dolore di chi ha perso un famigliare, senza neppure poterlo salutare; l’angoscia di chi ha perso il lavoro e fatica ad arrivare a fine mese; il peso di chi ha tenuto chiuso un’attività per tutto questo tempo e non sa come e se riaprirà; i ragazzi e i giovani che non hanno potuto seguire lezioni regolari a scuola; i genitori che devono con fatica prendersi cura dei figli rimasti a casa tutto il giorno; la ripresa economica con un impoverimento generale…”. Inizia così la lettera che il vescovo di Pinerolo, mons. Derio Olivero, ha indirizzato alla diocesi.
Quelle elencate dal vescovo “sono questioni che – ha scritto – mi porto in cuore e sulle quali, come Chiesa di Pinerolo, stiamo cercando di fare il possibile. È in gioco il futuro del nostro territorio”. “A questo dedico la maggior parte delle mie poche forze in questi giorni, mettendoci mente e cuore”, prosegue mons. Olivero: “Vorrei che l’epidemia finisse domani mattina e la crisi economica domani sera. Ma non sarà così. In ogni caso questo periodo di pandemia e di crisi non è una semplice parentesi”. Secondo il vescovo, “questo tempo parla, ci parla. Questo tempo urla. Ci suggerisce di cambiare”, prosegue, sottolineando come “in questo isolamento ci siamo resi conto che le relazioni ci mancano come l’aria. Perché le relazioni sono vitali, non secondarie. Noi siamo le relazioni che costruiamo”. Per cui, “non basta tornare a celebrare per pensare di aver risolto tutto”, ammonisce mons. Olivero: “Non dobbiamo tornare alla Chiesa di prima. O iniziamo a cambiare la Chiesa in questi mesi o resterà invariata per i prossimi 20 anni”. Precisando che “credo all’importanza della messa”, il vescovo afferma che “non voglio più una Chiesa che si limiti a dire cosa dovete fare, cosa dovete credere e cosa dovete celebrare, dimenticando la cura le relazioni all’interno e all’esterno. Abbiamo bisogno di riscoprire la bellezza delle relazioni all’interno, tra catechisti, animatori, collaboratori e praticanti. Abbiamo bisogno di creare in parrocchia un luogo dove sia bello trovarsi, dove si possa dire: ‘Qui si respira un clima di comunità, che bello trovarci!’”. Tra i sogni elencati da mons. Olivero quello di comunità che non siano “chiuse, ripiegate su se stesse e sulla propria organizzazione, ma comunità aperte, umili, cariche di speranza; comunità che contagiano con propria passione e fiducia”. “Non una Chiesa che va in chiesa, ma una Chiesa che va a tutti”, spiega il vescovo: “Carica di entusiasmo, passione, speranza, affetto. Credenti così riprenderanno voglia di andare in chiesa. Di andare a messa, per nutrirsi. Altrimenti si continuerà a sprecare il cibo nutriente dell’Eucarestia”.