“Il grande pericolo in questo momento impegnativo per l’intera storia umana è di muoverci prescindendo dall’amore, rinunciando all’ebbrezza della responsabilità e della libertà. Spero di sbagliarmi, ma più di un segnale rivela che si sta già dimenticando, anche nell’ambito ecclesiale, l’enorme dolore che solo in Italia ha prodotto decine di migliaia di morti e fatto piombare tante famiglie in grave sofferenza. Sta avanzando sempre più un parlare violento e conflittuale, ben lontano da quel procedere con ‘dolcezza e rispetto’ indicato dalla prima Lettera di Pietro”. Lo ha affermato ieri l’arcivescovo di Trento, mons. Lauro Tisi, nell’omelia pronunciata nell’undicesima e ultima messa “a porte chiuse” che ha presieduto in cattedrale.
Introducendo la celebrazione, l’arcivescovo si è soffermato sul ritorno delle messe alla presenza del popolo: “Sarà comunque una ripresa parziale e graduale – ha sottolineato –, nel pieno rispetto delle regole: cerchiamo di viverle come vincoli d’amore per la tutela della salute dei nostri fratelli. È totalmente estraneo all’Eucarestia – ha aggiunto – una fruizione individuale e personale, dimenticando gli altri”. Quindi il pensiero a bambini e ragazzi “che in questo momento di ripartenza – secondo l’arcivescovo – rischiano di restare invisibili e ignorati, anche nelle nostre comunità ecclesiali.”
Nell’omelia, mons. Tisi ha ricordato che “all’inizio dell’emergenza, ci siamo detti di voler cogliere l’occasione per inventare nuove opportunità”. Ma, ha osservato, “in realtà, le soluzioni prospettate per il futuro sanno di stantio e di vecchio e rischiano di replicare tali e quali gli errori del passato”. “Chiediamo a Dio – ha esortato mons. Tisi – che la pandemia diventi per l’umanità l’occasione di riscrivere la vita attorno all’amore e alla relazione. Un’organizzazione sociale ed economica pensata sulla logica della competizione e delle zampate vincenti a scapito dell’altro, non porta infatti alcuno sviluppo ma solo tensione e disuguaglianza. La lezione di questi mesi non passi inosservata: non avremo futuro se non lo vivremo al plurale”.