“Io appartengo alla musica”. Così Ezio Bosso ospite, due anni fa, in diretta nel #Pib di Radio InBlu. L’artista, scomparso oggi, si era raccontato a Raffaella Frullone e Marco Parce ed era emerso il ritratto di un uomo con una grande determinazione, in una carrellata di ricordi tra l’infanzia a Torino e il suo lungo percorso internazionale, che lo ha reso uno degli artisti più influenti della musica classica. “La musica è basata sul silenzio che poi non esiste, perché noi siamo un suono. Il nostro cuore batte e il battito cardiaco decreta il suono della musica, il nostro muoverci dentro. Una tensione continua che non smette mai”. Osservando che nella società di oggi “il dialogo si è spostato in uno scontro dove tutto è tifoseria”, Ezio Bosso affermò che “l’opinione è diventa una dichiarazione vuota”. “Lo vediamo anche nel linguaggio e questo mi ferisce molto. La musica cui appartengo è l’esatto opposto – aggiunse -. I tifosi non si ascoltano, sostengono fino in fondo e si insultano. I mezzi sociali, belli e potenti, ci portano a piccoli deliri di onnipotenza”.
Soffermandosi sulla musica, poi, il compositore e direttore d’orchestra la definì “collante sociale”, un modo per “condividere quella stessa sensazione che ci avvicina”. “La musica cui appartengo è quella in cui il tuo silenzio è musicale e diventa condivisione pura di uno stato d’animo, di un pensiero e di una storia”. “Ogni storia che racconta ognuno di noi è la stessa storia in quel momento musicale. E, se siamo in grado di vivere ciò, riusciremo a crescere”. Rispondendo alla domanda di un’ascoltatrice che gli chiedeva cosa prova quando dirige l’orchestra, Bosso ha risposto che “è un’estasi in cui ti sacrifichi per l’altro”. “Dopo che studio, mi dedico all’altro, cioè a chi l’ha scritta quella musica. Esco dalla mia quotidianità e mi metto al servizio di quella partirtura e di ogni musicista che lavora con me. Sono un tramite. Sono quello che si sacrifica, nel senso più bello del termine”.