Sono già una sessantina i detenuti nelle carceri peruviane che sono morti per il coronavirus, mentre tra il personale penitenziario sono quasi una decina. “È una situazione molto grave, nella quale i diritti umani sono violati – spiega al Sir mons. Jorge Enrique Izaguirre, vescovo della prelatura di Chuquibamba e presidente della Commissione episcopale di azione sociale (Ceas) della Chiesa peruviana -. Come Ceas abbiamo chiesto al Governo, lo scorso 11 marzo, di fare fronte a questa emergenza, ma le risposte sono state molto lente. In generale, il Governo ha ben operato, ma su questo punto, pur essendo stati ascoltati, si è agito in modo poco tempestivo”.
Il Covid-19, come accade in molti Paesi sudamericani, ha trovato nelle carceri terreno fertile, a causa di problemi mai risolti. Prosegue mons. Izaguirre: “C’è, innanzitutto un sovraffollamento che mediamente, a livello nazionale, raggiunge il 130% della capienza. Il problema tocca 54 istituti penitenziari su 69 e arriva a punte del 200% o addirittura del 500%. È praticamente impossibile attuare misure di isolamento sociale. Il 40% dei detenuti è ancora in attesa di giudizio, per la lentezza del sistema”. Eppure, dare un po’ di respiro alla presenza nelle carceri sarebbe possibile: “Il 10% dei detenuti è composto da persone accusate di omissione di assistenza familiare, un tipo di reato per il quale sarebbero auspicabili forme alternative di pena”. Ancora, aggiunge il vescovo, “assistiamo a un abuso della detenzione preventiva. Insomma, la situazione era già molto grave prima dell’arrivo della pandemia”.