Oltre all’affollamento, le carceri del Perù, dove sono già morti per il Covid-19 circa 60 detenuti, sono caratterizzate da carenza di attenzione sanitaria e igienica. Lo denuncia, al Sir, mons. Jorge Enrique Izaguirre, vescovo della prelatura di Chuquibamba e presidente della Commissione episcopale di azione sociale (Ceas) della Chiesa peruviana: “Mancano medici, infermieri, al di là del Covid-19, nelle carceri circolano la Tbc, l’anemia, molte altre patologie. Spesso manca l’acqua o ci sono poche ore di luce. Mancano pure prodotti per l’igiene personale. Spesso sono i familiari a portare qualcosa ai loro congiunti che sono in prigione: alimenti, medicina, prodotti per l’igiene di base. Ma ora le visite non sono possibili e così non arrivano neanche cibo e generi di prima necessità”.
Il sovraffollamento raggiunge livelli al di fuori di ogni immaginazione a Lima, per esempio nel carcere di “Castro Castro”: 8mila detenuti, mentre la capienza sarebbe di 1.500. Qui, nelle scorse settimane, c’è stata una rivolta che ha causato più di dieci morti. Nel vicino istituto “San Pedro” ci sono stati vari contagi, anche per alcuni trasferimenti di detenuti positivi. “Ma a volte la situazione è anche peggiore sulla sierra, nelle piccole località di provincia – denuncia mons. Izaguirre -, con carceri piccole, isolate, dimenticate, con poco personale”.
Il vescovo conclude con un ulteriore appello: “Il nostro sistema carcerario non rispetta le donne, non ci sono a volte distinzioni negli istituti con quello che ciò comporta in termini di violenza e abusi. Chiediamo al Governo di scarcerare le donne incinte o con figli. Speriamo di essere ascoltati almeno su questo”.