Un appello all’Unhcr (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) e alle istituzioni libiche perché “intervengano immediatamente, prima che le milizie tornino a minacciare ed usare la forza contro i profughi trattenuti nella struttura di Zawiya”. È stato lanciato oggi da don Mussie Zerai, presidente dell’Agenzia Habeshia, in contatto telefonico con molti profughi rinchiusi nei centri di detenzione in Libia. Stanotte, alle 4.30, ha ricevuto una chiamata dal centro di Zawiya, dove sono trattenute da più di un anno circa 200 persone, in maggioranza etiopi ed eritrei, tra cui 10 donne e 6 bambini. Sono stati trasferiti dal centro di Binqashir, peggiore di quello attuale. “Alcune di queste donne sono incinte – racconta don Zerai –, ci sono persone malate seriamente che nessuno cura, subiscono ogni giorno vessazioni e privazioni di cibo e acqua”. Nonostante la pandemia di Coronavirus – il 13 maggio sono stati contati 64 contagi in Libia – i gestori del centro di detenzione vorrebbero rinchiudere i profughi in uno spazio ristretto dove è impossibile mantenere le minime distanze e “manca tutto per l’igiene personale, mascherine, disinfettanti”. Il profugo che ha contattato il sacerdote riferisce che “il personale delle agenzie internazionali non si vede da settimane. Le milizie minacciano di sequestrarci tutti i telefoni cellulari, per isolarci totalmente e non denunciare gli abusi che subiamo ogni giorno”. La scorsa notte, alle 2, il capo delle milizie, tale Osama, prosegue il testimone, “si è presentato con un decina di uomini armati per tentare di forzare gli ospiti della struttura a restringersi tutti in uno spazio ristretto, liberare i capannoni per i suoi traffici umani che continuano”. I profughi eritrei ed etiopi raccontano “l’andirivieni di gruppi di africani che vengono rinchiusi nei vari capannoni per un breve periodo” e poi li vedono partire “dopo l’avvenuto pagamento o una compravendita tra i vari trafficanti”. Il gruppo ha resistito al tentativo di segregazione ma il capo delle milizie “ha minacciato di tornare con più uomini armati, dicendo che sarà un bagno di sangue”. Maltrattamenti e vessazioni sono quotidiane. Don Zerai chiede che “l’Unchr e le istituzioni libiche intervengano e tolgano gli ospiti del centro da questa orribile situazione”.